William “The Bloody” Spike

Vero nome: William Spike
Alias: Bloody

Clan: Brujah

Personaggio della Cronaca:
NESSUNA

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williamcreed«Non so chi sia mio padre, non so nemmeno se sia lo stesso di mio fratello. E’ proprio vero, c’è solo una cosa di cui si è sicuri: la propria madre

La mia vita… oh, la mia vita ha iniziato a prendere senso da quando sono morto.
In fin dei conti nemmeno prima amavo la luce del sole, quando c’è troppa luce ti notano più facilmente. Diciamolo pure, il trapasso è stato, fin’ora, il momento più esaltante della mia esistenza. Già, probabilmente qualcosa mi ha tolto, ma senza ombra di dubbio ciò che mi ha dato è stato certamente qualcosa di davvero speciale.
Ah, quasi scordavo. Il mio nome?
Beh, quello lo so, William.
Mia madre mi ha sempre chiamato così, però negli ultimi tempi mi ero guadagnato l’appellativo di “The bloody”.
Ed io ne vado orgoglioso. Eheheh.
Dovete sapere che è nato da un episodio di raro sarcasmo. Ero con una delle mie conoscenze “speciali”, Dave, un Fratello, ma più che un Fratello, era proprio mio fratello.
Stavamo rincorrendo una succulenta “colazione” bionda, con un paio di tacchi a spillo e di tette che ci stavamo chiedendo che cosa bilanciasse il suo peso per riuscire a stare in piedi.
Comunque quella sera avevamo bisogno di distrarci un po’ ed eravamo passati in un localaccio fuori mano. Volevamo iniziare la serata con qualcosa di “forte”. Beh, insomma, alla fine l’avevamo invitata al nostro tavolo e lei aveva accettato senza fare troppe storie. Le avevamo offerto da bere, molto. Lei aveva gradito e noi già pregustavamo la bella bevuta che ci saremmo fatti. Insomma, eravamo giovani, avevamo diritto a divertirci un po’, no?
Non che voglia davvero usare l’età come scusa, non ne ho davvero bisogno, ma avere un’attenuante non è un male, giusto?
Comunque quel vizio di bere non l’ho perso con l’età, solo che ora preferisco il “dopo cena” piuttosto che la “colazione”…
Va beh, ad ogni modo questa era uscita dal locale barcollando, si sorreggeva un po’ a me e un po’ a Dave. Insomma, stava su se e no. Le avevamo promesso di riaccompagnarla a casa, ma alla fine ci trovammo tutti e tre in questa specie di zona industriale poco illuminata. Lei sembrava non preoccuparsi molto della strada che avevo preso; rideva e scherzava senza problemi, troppo ubriaca per rendersi conto di dove la stessimo portando.
Mi fermo in un parcheggio e scendo, lei e Dave continuano a parlare del più e del meno. poi li vedo scendere. Lei si avvicina e mi si appende al collo ridendo, dietro le sue spalle, Dave scopre le zanne in un ghigno divertito.
La stringiamo tra noi, ognuno dei due infila le zanne da un lato del collo. Non so chi dei due abbia iniziato, a dire il vero non so nemmeno chi dei due smise di bere per tempo, sta di fatto che quando la lasciammo andare lei si accasciò al suolo con un tonfo.
Aveva bevuto davvero molto, perché noi eravamo così euforici che li per li non ce ne è fregato un cazzo se quel bel bocconcino era morto oppure no. Solo dopo diverso tempo ci accorgemmo che la tipa era ancora per terra e non si era mossa di un millimetro.
Con un paio di calci ci rendemmo conto che la nostra “colazione” non era più tra noi.
La caricammo in macchina e cominciammo a girare la città. Giravamo con un cadavere in macchina e non facevamo altro che ridere come pazzi.
Verso le due suonammo alla porta di un’agenzia di pompe funebri. Io tenevo in piedi la morta davanti a me. Quando il vecchio aprì la porta feci scattare il coltello e aprii la ragazza dall’inguine alla gola. Ciò che si riversò in terra con un gorgoglio fece vomitare quella mummia seduta stante.
Dave ed io scoppiammo a ridere come due imbecilli.
«Vuoto a rendereeee!» mi ricordo che sghignazzai.
Per quella bravata rischiai davvero una Caccia di Sangue, ma Selena fu davvero molto comprensiva.
Ripensando alla scena mi viene ancora da ridere…
Dave si spanciava, credo che la sua risata sia rimasta impressa a tutti quelli del quartiere.
Da quel momento iniziò a chiamarmi “The bloody” e così rimase finché non dovetti cercare di sfuggire a due bastardi Ventrue che cercavano di appiopparmi la colpa di due “lattine” vuote che non erano riusciti a far sparire decentemente. Per colpa loro alla fine dovetti lasciare la città. Mica male eh?
Però ormai mi ero abituato alla mia nuova esistenza e mia madre era già morta da un paio d’anni. Il mio unico fratello rimasto in vita era in galera e sinceramente non so se ne uscirà mai, comunque non avrei potuto farci nulla lo stesso; se volevo sopravvivere dovevo tagliare la corda, e in fretta. Mi feci mezzo Paese di volata, in auto, con Dave al fianco che si agitava come un moccioso che marina la scuola per la prima volta. Non ero nervoso, credevo davvero di potercela fare e credevo che anche Dave ce l’avrebbe fatta. Sul far del giorno optammo per un motel cadente sulla statale. Ci saremmo chiusi dentro fino al tramonto. Avremmo sicuramente dormito poco ma di certo sarebbe stato meglio che bruciare vivi su un’auto in corsa.
Cazzo!
Fu una brutta mossa, bruttissima, ci avevano seguiti fin dall’inizio.
Un fuoristrada blu notte.
Ricordo ancora Dave che apre lo sportello e fa: «Aspetta qui, prendo la stanza.»
Poi un paletto lo pianta alla parete di legno della baracca. Provai a scendere dall’auto, ma un paletto s’infilò nella portiera a meno di un centimetro dal mio braccio. Mi richiusi dentro e girai gli occhi. Quando vidi la testa di Dave rotolare sulla veranda misi in moto di nuovo. Ormai non avevo scelta e piangere Dave sarebbe stata la morte ultima anche per me. Lui non l’avrebbe voluto. Imprecai e partii.
Corsi per qualche chilometro a folle velocità col fuoristrada dietro di me, poi mi decisi e mentre il sole iniziava a spuntare sterzai di colpo ribaltando la macchina in un fosso, fuori strada.
Ero solo, in un’auto capovolta, avevo corso per una notte intera ed ora il sole tramontava all’orizzonte. Il fuori strada proseguì la sua corsa per quella strada deserta. Con qualche contorsione riuscii a spostare i sedili e a strisciare nel bagagliaio.
Quella fu la prima delle giornate più lunghe che abbia mai trascorso.
Ripensai a Dave, Selena ci aveva “creati” assieme e ci aveva permesso di scappare. Lei è la “donna” per eccellenza. Quasi tutti la chiamano Sally ma io non l’ho mai fatto, è una cosa che non ha stile, un abominio, soprattutto quando decide di nutrirsi di te.
Mentre ti perdi nell’estasi del suo bacio non puoi chiamarla Sally.
pensare a lei scioglieva lo strato del ghiaccio della paura dal mio gelido cuore morto. Mi dava forza, speravo ardentemente che nessuno fosse venuto a curiosare nell’auto durante il giorno. Forse dormii anche per qualche ora, ma ricordo di aver passato la maggior parte del tempo in all’erta.
Sinceramente non pensavo di uscire da quell’auto al tramonto, ma successe. Quando fece buio strisciai fuori. Ero stanco, lento e avevo fame. Soprattutto, ero solo. M’incamminai stando giù di strada ma iniziavo ad aver bisogno di sangue. L’idea mi spinse ad allungare la mano. Si fermò un’auto dopo mezz’ora che camminavo al buio. Chissà, non mi chiedevo come mi avesse visto. Alla guida c’era una ragazza. Ma avevo troppa fame, non mi chiesi nemmeno come mai una ragazza sola si fosse fermata a raccogliere un’autostoppista lungo una strada deserta. Salii al volo e lei partì sgommando. L’auto era calda, pulita. Probabilmente non voleva farmi “scappare”. Non subito, ma credo che avesse intenzione di uccidermi e la sensazione si fece piè netta quando cominciò a… PARLARE!
Chiacchierava amabilmente, mi chiese un sacco di cose, mi raccontava che faceva l’Università e stava tornando a casa… mi sembrava simpatica, fin troppo disponibile. Quando le chiesi di accostare lei lo fece sorridendo maliziosa. Non aspettai. Stavo iniziando a tremare, avevo troppo bisogno di sangue. Mi accorsi di quello che stava succedendo solo quando ormai avevo bevuto troppo. La guardavo e mi sembrava carina, dolce simpatica e… e mi stringeva forte. Troppo forte per essere una ragazzina.
Era un cazzo di vampiro!
Curata, elegante, con una bella macchina e la borsetta firmata… e solo in quel momento mi accorsi che non c’erano libri.
La colpii con tutta la forza che avevo. Lei incassò il colpo senza un lamento. C’era qualcosa che combatteva dentro di me, da una parte una vocina mi stava dicendo che avrei dovuto chiederle di fuggire con me, ma dall’altra… sentivo di essere stato fregato. Fanculo ai legami di sangue!
Seguii la strada dell’inganno. Quando ripartii dopo mezz’ora circa, avevo sputato sulla sua fottuta testa che rotolava nel fosso e soprattutto avevo un’auto, qualche soldo, un orologio nuovo e l’autoradio. Cosa potevo volere di più dalla non-vita?
Dave… cazzo, mi mancava Dave.
Comunque non avevo tempo per pensare a certe cazzate sentimentali.
Sapevo che quest’auto non avrei potuta tenerla a lungo. Sicuramente c’era qualcuno che l’aspettava da qualche parte e presto sarebbero venuti a cercarla.
Abbandonai il mezzo fuori città e percorsi l’ultimo tratto a piedi. Erano le quattro e avrei dovuto cominciare a cercare un posto dove passare la giornata, anche se sapevo già che i guai mi sarebbero venuti a cercare. Sono un ragazzo sensibile io.
Ok, ok, vampiro.
Cazzo ero vampiro da quanto? Cinque, sei anni? Boh, so solo che la mia fottuta faccia da ragazzino non me l’avrebbe più tolta nessuno, così come i capelli. Ho provato anche a cambiare taglio di capelli ma non c’è stato niente da fare, tornano sempre come prima. Voglio dire, dopo dieci, quindici anni credi di essere cambiato e invece…
Per qualcuno è un vero trauma, ma tranquilli, “perdere” la testa o “abbronzarmi” non sono mai stati nelle mie intenzioni.
Il fatto è che nel posto dove ero capitato non c’era un buco decente dove nascondermi e poi quei figli di puttana se vogliono trovarti possono farlo dove e quando vogliono. Quindi una soluzione valeva l’altra. Presi una stanza e mi registrai col primo nome che mi venne in mente, poi passai la giornata nella vasca da bagno.
Quella sera quando mi svegliai presi la decisione: non mi sarei mai più fermato, avrei cominciato a viaggiare. Non credo che mi fermerò mai, a meno che qualcosa non sia davvero tanto importante da catturare TUTTA la mia attenzione.
Quanto anni ho? Non lo so, non tengo il conto, non l’ho mai tenuto. So solo che quando incontrai Selena ne avevo 27 ed ogni volta che la rivedo è bellissima, esattamente come lo era allora. Una rosa irta di spine mortali, ma elegante, profumata, meravigliosa.
La sera che l’ho incontrata ero seduto in fondo a un vicolo buio, non avevo nè voglia ne forza per rientrare a casa. Stavo lì con un paio di amici, scrutavamo il cielo da oltre i tetti dei palazzi, cercando di capire in quale universo ci potessimo trovare. Eravamo drogati persi.
La prima cosa che vidi di lei erano le gambe. Luuuunghissime gambe fasciate un un paio di calze a rete. Penso di non essere stato l’unico ad averle guardato le gambe e avrei voluto guardare anche più su, ma non avevo la forza di farlo, così fu lei ad acquattarsi.
Cercai di emtterla a fuoco, ma non ci riuscivo, così alla fine chiusi gli occhi. Sentii dei rumori, attorno a me, gemiti e gorgoglii e sospiri, ma non ci potrei giurare, ero talmente cotto che non avrei distinto un tir da un gatto.
Non so quanto tempo passò, ma sentii il suo peso sopra di me. Non tentai nemmeno di divincolarmi, non ce l’avrei mai fatta. E’ come una zanzara, sentii il dolore del morso e poi basta.
Non so se persi i sensi o cosa, ma improvvisamente la mia mente si perse in sogni strani e limpidi, lucenti, reali. Poi al di la di quella barriera onirica qualcosa di viscoso e caldo mi scivolò in gola e il mondo iniziò a roteare.
Quando aprii di nuovo gli occhi rimasi accecato. Sentivo delle voci confuse e realizzai all’istante che la luce che avevo puntata in faccia era un fottutissimo faro. Polizia.
Uno degli agenti era accanto al mio amico.
«Questo è morto.» Morto. La parola mi rimbalzò nelle orecchie, come un eco spaventoso, come qualcosa che dovevo comprendere, ma che non riuscivo a comprendere.
Cercavo di muovermi, ma il mio corpo era pesante, finché in un impeto di disperazione riuscii a scalciare. Il tipo con la torcia arretrò di qualche passo e io scattai in piedi.
Lo stomaco si rivoltò e un fiotto di sangue mi uscì dalla bocca. Scappai.
Salii le scale e m’infilai nel vecchio stabile disabitato. Sentii dei passi dietro di me e lampi di luce mi suggerirono che il poliziotto con la torcia mi stava seguendo.
Parlava con qualcuno, forse la radio, chiedendo rinforzi. sprazzi di parole mi giunsero alle orecchie, come “armato” o “allucinogeni” o “pericoloso”.
Ma io non ero più fatto, ero sveglio e scattante. Forse un po’ rigido per il freddo, ma… stavo bene!
Ruppi il vetro di una finestra. presi quattro o cinque porte a caso e finii in uno sgabuzzino.
Allora chiusi la prota dietro di me e mi appoggia alla parete sudicia. Ero solo e al buio, ma fuori non sentivo nulla. Ripresi fiato e… tutto diventò pesante, le braccia, le gambe, la testa.
Morii. Fu disgustoso, terribile ed osceno.
Sentii il cuore fermarsi e nonostante cercassi di respirare, il respiro mi si mozzò in gola e il panico mi prese, portai le mani alla gola, come se potessi in qualche modo costringermi a respirare. Poi il peso del mio corpo diventò enorme, come se tutto quello che avevo nella pancia, sotto la pelle, fosse diventato un peso inutile, da sorreggere a forza. Quando cominciai a vomitare, mi resi conto che non sentivo dolore, sentivo solo la necessità di espellere i succhi gastrici, di liberarmi come di un peso.
Ero terrorizzato. Caddi a terra, alla fine, non riuscendo più a controllare i muscoli, come se si fossero disattivati uno per uno. E poi… blackout.
Non so per quanto rimasi così, quando mi ripresi quel tanto che bastava per sentire un rumore di passi, cercai di rialzarmi. Barcollavo e mi aggrappavo ovunque, trascinandomi addosso scope e scanie vuote, ma alla fine mi risollevai e riuscii a focalizzare il rumore che sentivo, per questo non feci caso a come mi sentivo.
Me ne accorsi cinque minuti dopo, quando, uscendo da quel sudicio appartamento vuoto mi trovai due torce puntate fastidiosamente negli occhi e sentii gli spari.
Non sentii nulla, pensai che avessero sbagliato mira. Mentre ancora cercavo di capire perchè avessi avuto l’impressione di essere stato colpito, senza aver però sentito dolore, la vidi di nuovo. Era in piedi, tra i due poliziotti e ad un tratto le loro teste furono girate di 180°, così, esattamente come ve l’ho scritto.
La voce di lei era… non so, come una strana melodia.
«Ce l’hai fatta. Benvenuto tra noi.» disse, ma non capivo.
Poi la vidi osservarmi la maglietta, così abbassai lo sguardo e vidi le chiazze che si stavano allargando e il tessuto bucato dei proiettili. Non avevano sbagliato mira. Ero morto.
Sollevai furiosamente la maglietta ma… la pelle espulse i proiettili e si richiuse esattamente com’era prima, intatta. Non c’era nessuna ferita, nessuna cicatrice.
Ero morto, si, ma prima ancora che loro mi sparassero.
La mia storia è iniziata così, senza tanti preamboli nè compromessi eppure, l’unica preoccupazione che nutrivo riguardava la mia salute.
Non credevo che fosse possibile perdere i sensi tante volte in una sera sola, tra un modo di morire e l’altro…

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Pubblicato da Shekinah

Sono la burattinaia, sono il filo che da oggi reggerà il tuo burattino Sono colei che muoverà le dita ad indicare la tua sorte. Obbligherò le tue membra ad alzarsi contro il volere della Natura stessa, senza che tu possa fermarmi. Eseguirai la mia danza. E ti piacerà.

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