[Storie] Lettera di Demetrio al suo carissimo amico

Caro amico mio,
ti lascio questa mia ultima lettera con cui ti affido il mio più caro tesoro, Cesare, prima della mia dipartita, per poterti raccontare tutta la verità sulla nascita dei Serrungarina, così che quando verrà il giorno, potrai decidere da te cosa fare.
Sono stato il primo dei signori e guardiani di questa magione e dei molti segreti che nasconde.
Prima di tutto, tuttavia, vorrei che ti fosse chiaro che Angelica ed io ci innamorammo davvero ad un certo punto e che Cesare è il frutto del nostro amore. Lo abbiamo desiderato, lui, come la sorella, con tutto il cuore.
Devi tenerlo sempre bene a mente, amico mio.
Erano i primi anni luminosi dopo un periodo così oscuro che il buio e il timore erano rimasti ancora saldamente attaccati all’animo degli uomini. Noi eravamo i figli della disperazione e la Chiesa ci teneva al guinzaglio con la paura, nel timore del peccato. Il demonio si nascondeva dietro ogni angolo e noi ne subivamo le conseguenze. Ogni scusa era buona per proibire ad un giovane vivace come me di bere o di andare a donne ed ogni scusa era buona per proibire ad una bella e giovane donna qual’era Angelica per rinchiuderla in casa al calar del sole o addirittura costringerla alla clausura solo perché nata per seconda.
Eppure… eppure non è bastata tutta la sua fede religiosa ed il mio buonsenso per salvarla…
Ella mi odia, ora, retaggio di quello che è divenuta per scelta e necessità.
Andiamo con ordine, scusami se mi lascio trascinare da questi miei sentimenti, l’ultima cosa che mi è rimasta a tenermi in vita.
Ti racconterò dunque cosa è avvenuto.
Era un giorno di festa molto freddo, la neve era caduta tutta notte ed io ero scappato di nascosto come mio solito da casa per andare a bere con alcuni compagni.
Camminavamo su un sentiero tra gli alberi, nel buio, stemperato dal riverbero della luce della luna sulla neve quando vedemmo una sagoma tra la neve disciolta. Era un uomo che, nudo, giaceva al suolo. Il suo corpo scottava di una febbre terribile, eppure non tremava, ne sudava. Emanava solo uno strano odore, come di uovo marcio e non emise mai un solo suono.
Anche se spaventati, decidemmo di provare ad aiutarlo. Lo raccogliemmo e lo trasportammo come potemmo fino al nosocomio del villaggio più vicino, cittadina metaurense (Urbinum Metaurensi NdSheky).
Fu faticoso e mi scoprii disgustato nel toccare quell’uomo sofferente, ma non me ne lamentai e alla fine lo affidammo alle cure di alcune suore.
Fu quella notte, anzi, quella mattina, che la vidi per la prima volta.
Angelica. Suor Maria Lucia si faceva chiamare da che aveva preso i voti.
Era bellissima, i capelli castano chiaro sfuggivano a ciocche dal velo, gli occhi chiari e limpidi che sembravano leggerti l’anima. La voce, così leggera e soave, avrei detto fosse quello di un angelo davvero.
Ci disse che avrebbero pensato loro all’uomo e ci mandarono a casa.
Esausto, quando rientrai trovai mio padre sulla soglia. Iniziammo a litigare e mi prese a cinghiate. Non credette a una sola parola di quello che gli raccontai e questo è e rimarrà per sempre un mio grande rammarico.
Venni cacciato di casa; avevo detto troppe frottole, commesso troppi sbagli, mi disse mio padre, e mi buttò in mezzo alla strada.
Scelsi di dimostrargli che non ero un poco di buono, mi rimboccai le maniche e mi arruolai nelle guardie della cittadina metaurense. Fu così che potei incontrarla di nuovo.
Passarono sei mesi, l’autunno incalzava. Un gruppo di uomini avevano cercato di ribellarsi al potere pontificio e la mia guarnigione aveva dovuto fermarli con la forza. Io ero rimasto ferito ad un braccio e, portato al nosocomio, fu lei a pulire e medicare la mia ferita.
Non si ricordò subito di me, ma poi le chiesi notizie dell’uomo ferito ed allora divenne strana. Arrossì e chinò il capo, colta da imbarazzo, o perché non leggessi qualcosa che non avrei dovuto vedere nei suoi occhi non più innocenti.
Una sera, mentre ero di ronda, avevo notato che usciva, la sera, con la scusa di portar cibo ai poveri, poi tornava al mattino; così decisi di seguirla.
Dapprima fece davvero qualche tappa a lasciare il cibo, poi la vidi farsi circospetta e divenne più difficile seguirla, perché uscì di città e si diresse in un vecchio fienile. Rimasi nascosto in un fosso ad osservare il portone dietro cui era sparita, finché l’aria si addensò e un terribile odore come di uovo marcio si diffuse. Un uomo apparve dal nulla. Mi ci volle qualche momento per riconoscere l’uomo che i miei compagni ed io avevamo portato al nosocomio, ne ero sicuro.
Anch’egli entrò nel fienile. Ero talmente scosso che rimasi in quel fossato tutta la notte. Quando rientrai al mattino ero spossato e l’umidità mi era entrata nelle ossa, ma ero deciso più che mai a capire cosa stesse succedendo.
Ero in preda al timore e al dubbio. Dubitavo di quello che avevo visto, dubitavo della mia fede, dubitavo ed avevo paura.
Mi decisi solo dopo alcune settimane a seguirla di nuovo. Avevo sentito dire che la giovane e bella Suor Maria Lucia aveva lasciato i voti, ripreso il suo nome e quello del suo casato e stava per tornare a casa.
Ancora una volta andarono al medesimo fienile. Questa volta però mi avvicinai al portone e sbirciai da una delle fessure. La vidi sorridente mentre ringraziava quell’uomo per l’aiuto che le aveva dato. Abalam lo chiamò. Suo fratello maggiore era morto, ora era lei la figlia maggiore, quindi era stata richiamata a casa.
Non volli vedere o sentire altro, mi nascosi di nuovo nel fosso e attesi che uscisse con pazienza e, mentre rientrava, mi avvicinai e le feci capire che sapevo, che avevo visto.
Lei scoppiò a piangere. Pianse tutte le sue lacrime e mi disse di non giudicarla, che non poteva comandare al suo cuore; era follemente innamorata di Abalam e aveva stretto quel patto per poterlo tenere più vicino a se.
Cercai di rassicurarla, pentendomi della rabbia che fino a poco prima avevo provato, e l’accompagnai al convento da cui l’indomani sarebbe partita.
Nella luce del mattino, quello che vidi, prima che entrasse, fu uno dei primi segni della mia follia.
La sua ombra sul muro mi parve quella di un angelo dalle ali spezzate e compresi.
Lei era un angelo, ed era caduta! […]

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Pubblicato da Shekinah

Sono la burattinaia, sono il filo che da oggi reggerà il tuo burattino Sono colei che muoverà le dita ad indicare la tua sorte. Obbligherò le tue membra ad alzarsi contro il volere della Natura stessa, senza che tu possa fermarmi. Eseguirai la mia danza. E ti piacerà.

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