Samara Amuhi

Vero nome: Samara Amuhi
Alias: Sam

Clan: Serpenti della Luce

Personaggio della Cronaca:
• Le Nebbie di Avalon
Haiti’s Voodoo Night
Le notti dai lunghi artigli

L’Abbraccio

(Scritto da Azzie)

L’uragano aveva colpito gran parte della zona limitrofa al villaggio. Quando acqua e vento si erano riversate sul bosco e sulle capanne, Mama Noemi e le sei apprendiste si trovavano al centro della radura, vicino al fiume.
Samara era al centro dell’attenzione; come Macumbera anziana aveva il dovere e il privilegio di mostrare alle novizie i passi da seguire per il rituale. La calma piatta che si era appoggiata sulla vegetazione e sulle acque del fiume non lasciava presagire niente di buono, ma c’era troppo poco tempo per preparare le ragazze e Mama Noemi non aveva intenzione di perdere nemmeno poche ore.
Samara aveva appena iniziato la sua dimostrazione quando una bava di vento aveva mosso le cime degli alberi; consolata da quella brezza improvvisa aveva continuato a danzare seguendo il ritmo di una musica immaginaria. Il gonnellino di frange di capra aveva iniziato ad ondeggiare, dapprima mosso solo dalle gambe dell’haitiana, poi sollevandosi da solo, all’inseguimento del vento che via via si stava facendo più fastidioso.
Quando le fronde avevano iniziato a frustare l’aria e il cielo aveva rivelato i primi segni della tempesta imminente, Mama Noemi si era affrettata ad ordinare alle ragazze di fermarsi e di correre al villaggio.
Però non fu una delle solite tempeste tropicali.
Samara aveva fatto cenno alle ragazze di precederla, apprestandosi, come suo dovere, a chiudere la fila.
In pochi istanti, l’aria, da frizzante era diventata gelida ed il cielo da grigio a nero, come se in poche frazioni di secondo fosse precipitata la notte sul caldo pomeriggio tropicale. Le prime gocce d’acqua risuonarono su ogni foglia della foresta come le mazze di un tamburo tribale e la Macumbera era partita di corsa, dietro le novizie, tentando di non perderle di vista. I piedi nudi affondavano nel sottobosco viscido di pioggia e le sagome si nascondevano dietro una coltre grigia di polvere, acqua e vento.
Le grida concitate delle ragazze davanti a lei le avevano permesso di seguirle per un po’, poi una fitta improvvisa alla caviglia sinistra le aveva fatto perdere l’equilibrio. Aveva allungato le mani avanti, attendendo la caduta e rannicchiato le gambe in un gesto istintivo. Sulla caviglia una fila netta di buchi piccoli e rossi, un morso. Col cuore martellante aveva sollevato gli occhi girandoli, frenetica, sull’erba mossa dal vento fino ad incontrare la testa dalle ali ondeggianti del rettile. Un cobra. Qualche minuto dopo la vista aveva ormai iniziato ad offuscarsi, i passi malfermi nella tempesta. Senza direzione, Samara aveva solo continuato a camminare finché le forze avevano iniziato a mancare, finché il sottobosco non era diventato che una palude in cui si sprofondava fino al ginocchio e il vento non le aveva fatto perdere l’orientamento, poi era caduta in ginocchio appoggiandosi al tronco scricchiolante di una albero e pregando i Loa ad alta voce.
il mondo si dissolse.
Qualcuno l’aveva coperta e sollevata di peso. Gli occhi si erano aperti l’indispensabile per guardare cosa stesse succedendo, attaccandosi all’irrefrenabile voglia di vivere. Aveva imparato a distinguere le divise dell’Esercito Americano dopo l’arrivo degli aiuti umanitari in seguito alle numerose tempeste. Un soldato la stava portando in braccio camminando senza troppo sforzo apparente attraverso l’uragano. Sotto la patina luccicante d’acqua il volto pareva lucido e solido, squamato, quasi come quello di un serpente. Il soldato procedeva senza abbassare lo sguardo celato da un paio di RayBan scuri. L’elmetto calato sul capo nascondeva i capelli che sicuramente erano tagliati cortissimi. Si era abbandonata in quella presa forte e sicura appoggiandosi alla spalla del soldato, dura come la roccia. I rumori, attribuiti dal delirio, non erano che sussurri indistinti ed il buio era calato di nuovo sfocando quel volto di serpente.

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Samara2

Gli occhi di Samara si erano aperti di scatto; ogni sensazione di dolore svanita. I polmoni avevano cercato istintivamente l’aria, scoprendo di non averne bisogno. Subito dopo il rifiuto dell’aria da parte dei polmoni, uno spasmo allo stomaco. Aveva fatto appena in tempo ad alzarsi a sedere lasciando cadere la coperta verde, che le era piombato in grembo un sacchetto di plastica viscido di pioggia. Spinta dal bisogno primario di nutrirsi l’aveva lacerato coi denti e ne aveva svuotato il contenuto, prima avidamente poi con più calma, fino a trovarsi in mano un involucro vuoto che aveva lasciato cadere ripulendosi la bocca con le mani. Allora le era arrivato alle orecchie il frastuono della tempesta ed aveva iniziato a guardarsi attorno.
Il soldato era seduto in terra, di fronte a lei. Si guardava gli anfibi giocherellando con un grosso coltello. L’elmetto era stato sostituito dal cappello con la visiera che portavano i soldati degli aiuti umanitari. Quando aveva sollevato la testa, si era accorta che portava ancora gli occhiali scuri. Al collo aveva una catena, di cui Samara riusciva a contare ogni pallina nel pallore della luce fioca di una lampada ad olio, dalla quale pendevano quattro medagliette lucide.
L’aveva osservato per un po’, poi aveva sussurrato «Mama?»
Lui aveva abbassato lo sguardo rispondendo in tono rammaricato, con accento americano «Morta.»
Un nodo le stava salendo alla gola, ma l’aveva inghiottito con forza per riprovare «Il villaggio?»
Lui non aveva sollevato la testa ma la sua voce le era giunta chiara «Distrutto. Tutti morti.»
Gli occhi le si erano riempiti di lacrime scarlatte mentre in un ultimo soffio di speranza aveva sussurrato «Amuhi?»
Lui aveva scosso la testa, poi aveva slacciato la catena che portava al collo lasciandosi scivolare in mano la medaglietta luccicante.
L’aveva fatta girare tra le dita prima di richiudere la catena e infilarla di nuovo attorno al collo.
Sempre con la testa bassa aveva accarezzato la superficie metallica, poi aveva teso il braccio muscoloso verso Samara che aveva allungato le mani
tremante.
Il soldato aveva lasciato cadere la medaglietta tra le mani dell’haitiana sussurrando «Morto.»
In un gemito disperato aveva cercato gli occhi di quel soldato dietro le lenti scure «E io?»
Lui si era ributtato contro il muro di roccia gettando indietro la testa con un lungo sospiro: «Sei morta anche tu.»

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Pubblicato da Shekinah

Sono la burattinaia, sono il filo che da oggi reggerà il tuo burattino Sono colei che muoverà le dita ad indicare la tua sorte. Obbligherò le tue membra ad alzarsi contro il volere della Natura stessa, senza che tu possa fermarmi. Eseguirai la mia danza. E ti piacerà.

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