Rico Stovyc

Vero nome: Rico Stovyc
Alias
: Dah Compagno

Clan: Veri Brujah

Personaggio della Cronaca:
NESSUNA

Precedentemente:
Black Rose
Desmond Cromwell – Il gene del Vampiro

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(Scritto da: Shekinah)

Trema di freddo, il soldato, accucciato dietro il cingolo di un carrarmato fermo nella neve. Il fango gli avvinghia le caviglie, intrappolando lo scarponcino consumato dal lungo camminare.
Un leggero ansimare ed una nuvola di vapore acqueo si solleva dalla sua bocca dischiusa in cerca di ossigeno che non sia freddo gelo.

Un lampo squarcia la notte e scompare, mentre riprende a tuonare.

Scorre lo sguardo stanco, spaventato, sulle sagome immobili dei compagni morti nella neve che si scioglie sotto le prime gocce di pioggia che iniziano a cadere, grosse come mele.

Socchiude gli occhi il soldato al pensiero di una bella mela, rossa e succosa.
Umetta le labbra quasi ne sentisse il sapore, ma se l’è dimenticato il sapore ed il profumo delle mele, come lo stesso sapore e profumo della donna che lo aspetta a casa. Kosette.
Non tornerà da lei, il dubbio è scomparso quando ha visto la “cosa” che ha ucciso i suoi compagni uscire dal fumo di un’esplosione, con la pelle lacerata da una granata a frammentazione, che si rigenerava sotto ai suoi occhi espellendo pezzi metallici che avrebbero ucciso senza dubbio un uomo normale.
Il fumo e la polvere ormai hanno invaso le sue nari ed i suoi polmoni, privandolo di due dei cinque sensi, la vista ancora regge, ma le orecchie cominciano a non voler sentire altro che il pompare del sangue nelle vene per la tensione.

C’è una cosa, li fuori, che li ha uccisi tutti, che ha divelto con le mani il portello del carrarmato e li ha tirati fuori per scagliarli via come bambole di pezza e che ora sa che è li, a braccarlo. Il suono del vento della tempesta comincia a distorcere i suoni e a soffocarlo gettandogli in bocca aria sempre più gelida. Gli occhi si inumidiscono, stanchi, bruciati da quel freddo che glieli fa socchiudere.

È l’ultimo sopravvissuto del suo squadrone, ha lottato, ha sparato ogni singolo proiettile che aveva, ha raccolto le armi dei suoi compagni morti, ha lanciato tutte le granate che aveva, eccetto una. Ancora stringe al petto la mitragliatrice che si raffredda contro la sua divisa sporca di fango e pesante per le gocce di pioggia che iniziano ad impregnargli l’equipaggiamento.
Rico, il “Gigante di ghiaccio” lo chiamavano scherzando i suoi compagni, ed ora è li accoccolato, spaventato come un bambino, ma determinato come una tigre siberiana a difendersi.

Non ha altro se non l’ultima granata.

KosetteUn pensiero ancora a Kosette.
Non è vero, lui non è mai stato così gelido come i suoi compagni lo credevano, ha sempre e solo pensato a lei e lei adesso gli avrebbe dato la forza per compiere un ultimo, disperato gesto. Sarebbe morto, ma avrebbe portato quella cosa con se.

Un ultimo respiro e poi lancia il mitragliatore ormai inutile nella neve e nel fango, alzandosi dal suo nascondiglio.
L’uomo è fatto per lottare e soffrire, per proteggere le proprie famiglie, per fare da scudo alle genti deboli. Eccolo quindi alzarsi, con una determinazione senza pari, col cuore che batte in petto come un tamburo di guerra, spaventato, eppure forte e deciso.

Cerca la creatura tra il fumo e la coltre di pioggia che comincia a farsi fitta e dolorosa, come piccoli sassi lanciati dal cielo a tutta velocità. Sgancia l’elmetto da sotto al mento, togliendolo dal capo e lasciandolo cadere al suolo, spezzando il silenzio con quel rumore secco che porta con se un movimento così minimo nelle ombre che quasi dubita di averlo visto.

E dopo un momento lo sente.

Percepisce il gelo innaturale che accompagna l’uomo che ora gli sta alle spalle sogghignando di una soddisfazione di cui Rico non capisce la natura. La bocca sporca di sangue, gli occhi luminosi di una sadica soddisfazione. La testa rasata, il fisico allenato di chi è abituato alla guerra.
Il soldato esegue una rotazione su se stesso, trovandosi faccia a faccia con l’uomo, la creatura, che ha ucciso tutti i suoi compagni. L’odore rugginoso del sangue sembra essere l’unico odore che riesce ad infrangere le barriere create dal fumo e dalla polvere.

La bocca dell’uomo si spalanca, mostrando lunghi ed affilati canini che luccicano, un ringhio basso e gutturale, come una lenta provocazione al soldato, quasi a testarne il coraggio e l’autocontrollo.

Al soldato non resta che raccogliere il coraggio, salutare col pensiero chi resterà su questo mondo ed augurarsi che non morirà per nulla.
Poi i passi lo portano a cercare la lotta, lo scontro fisico diretto con quella cosa che di umano ha solo l’aspetto.

Come sospettava la creatura rimane eretta, sentendosi superiore offre il petto al soldato, in una sfida palese, ma al soldato non interessa, si china in avanti e la spalla impatta contro l’addome della creatura.
È come sbattere contro un muro di cemento, ma l’adrenalina, la paura, la rabbia, la frustrazione, il dolore, non sono niente per Rico, servono solo a renderlo più forte e deciso. Gli stivali affondano nel fango in quello sforzo di scaraventare via la creatura che pare sorpresa, ad un tratto, quando il corpo del gigantesco soldato lo fa arretrare di un solo passo.

Infastidito da quell’uomo che gli ha dato filo da torcere fin’ora la sua mano avvinghia il collo del soldato, staccandoselo di dosso quasi fosse una mosca e scagliandolo senza mezzi termini indietro, verso quel rottame di un carro armato dietro cui poco prima stava inutilmente nascosto.

Non ci sono parole nell’aria, solo una crepitante ed assordante rabbia che sembra attizzarsi ancor di più nella creatura al lamento del grosso soldato che cozza contro le lamiere, accompagnato dall’odore di sangue.

Il soldato è ferito, il dolore dell’urto è stato lancinante, ma non come quello del pezzo di ferro che gli trapassa l’addome.
Non gli rimane molto tempo, le forze scemeranno presto e la morte verrà a prenderlo.
Sorride il soldato, non era così che aveva previsto andassero le cose, ma poteva andare molto peggio. Il corpo si contorce un po’, mentre la mano cerca nel fango e nella neve dietro di se, sotto al cingolo rotto del mezzo pesante, afferrando quel che vi avena nascosto, l’ultima granata.

La creatura sembra impazzire, forse è il sangue a fargli quell’effetto.

Rico allora ride. Il sangue sgorga a fiotti dalla ferita e dalle labbra, lasciandolo sempre più pallido e infreddolito di quello che vorrebbe ammettere e questo sembra piacere alla bestia che si trova davanti e che gli si avventa addosso senza preavviso.

Aspetta, il soldato.

Aspetta di aver tra le braccia la creatura, aspetta di vederla attaccarsi alla sua vena, aspetta che si perda in quell’unico attimo di distrazione che si consente mentre si ciba. Aspetta e poi agisce.

Raccoglie le ultime, lacerate energie che stanno scemando e abbraccia la creatura tra le solide braccia, con un ultimo sforzo e sgancia la sicura della granata. La spoletta vola nell’aria e gli occhi di Rico si chiudono, in attesa di quell’attimo che però non sembra arrivare.
Il silenzio si protrae troppo prima che la creatura scoppi a ridere. Una risata divertita, che si gusta il momento, come fosse a teatro a vedere una brillante commedia.
Ma per Rico quella non è una commedia, è terrore puro.

La granata non è esplosa e quando i suoi occhi tornano a guardarla ha di nuovo la spoletta.
La creatura si è alzata in piedi e lo sta guardando con un misto di ammirazione e soddisfazione.
La voce che gli parla sembra provenire dalle profondità della terra, da cui sembra trarre la forza e la solidità «Forse stanotte ti sei guadagnato un’altra vita, soldato.» e poi, mentre lo sente ridere di soddisfazione, gli occhi di Rico si chiudono, pesanti, stanchi.

Non sente più dolore. Sente solo il proprio corpo che viene strattonato, sente dita gelide forzargli la mascella e fargli colare qualcosa in gola. Vorrebbe sputare quel liquido, ma gli scivola in gola e non può che deglutire. Lo sente scivolare nello stomaco, strisciando come fosse vivo, un gelido tocco che accarezza interiora e tessuti, che congela il dolore e lo scaccia infondo alla mente, che calma e lascia scolorire ogni cosa, anche il viso sorridente e solare di Kosette a cui Rico si aggrappa, come un naufrago. Ma lei gli sfugge ed allora precipita e il tocco gelido diviene improvvisamente un fuoco che lo arde dall’interno, facendolo contorcere di dolore, urlare e ringhiare.

Mani forti che lo trattengono e gli infilano stracci che sanno di fango e sangue in bocca, oscurità, lancinanti lame di luce che compaiono solo per un attimo, ferendolo e poi sparendo, inghiottite nel buio ed ancora la voce tenera ed ansiosa di Kosette che echeggia nella sua testa.

«Rico, tornerai presto vero?»
«Sì amore mio, tornerò sempre da te, ad ogni costo…»

Il soldato si contorce sotto le mani dalla presa ferrea del Vampiro, che lo osserva con soddisfazione crescente. Scruta il soldato e quasi sulla sua bocca sembra un sorriso la piega che hanno preso le labbra.
«Benvenuto nel mondo di tenebra, figlio mio…» mormora alla notte ferale delle terre gelide del nord della Russia…

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Pubblicato da Shekinah

Sono la burattinaia, sono il filo che da oggi reggerà il tuo burattino Sono colei che muoverà le dita ad indicare la tua sorte. Obbligherò le tue membra ad alzarsi contro il volere della Natura stessa, senza che tu possa fermarmi. Eseguirai la mia danza. E ti piacerà.

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