[Cronaca] Velo Secondo

Quando uscimmo, l’Hummer del Ductus dei Mietitori attendeva i fratelli Daimon.
Non mi preoccupai quando Morgana e Bronach salirono in auto senza guardarci. Feci cenno ai miei compari e ci avviammo tutti insieme alle nostre auto parcheggiate nel garage sotterraneo.
«Dove stiamo andando?» la voce di Selene interruppe il filo dei pensieri come invece il suono ridondante dei nostri passi non riusciva a fare.
«Mh?» sollevai il viso ad osservarla un momento, l’espressione distante che vagava per le linee nette e sottili del suo viso. Questo bastò a farla innervosire. La mano di Selene mi strinse il braccio prima che salissi in macchina, fermandomi a metà del movimento. Sollevai lo sguardo che avevo nascosto di nuovo dietro agli occhiali da sole.
«Cos’è successo la dentro?» il tono inquisitorio di Selene mi suggerì che forse aveva notato qualcosa, qualcosa nel mio comportamento, probabilmente, che non andava e ciò non mi stupiva affatto. Accennai un sorriso, tornando più presente a me stessa, avrei voluto essere rassicurante, ma sapevo che non ci stavo riuscendo, posai la mano sul suo braccio ed accennai appena ad un diniegare. Speravo, sapevo che avrebbe capito. Selene mi capisce sempre al volo.
Ed anche questa volta non mi deluse. Mi lasciò il braccio e, aggirando l’auto si decise a salire davanti, per guidare fino al cimitero, dove i fratelli Daimon ci aspettavano.
La città era movimentata, per essere una notte infrasettimanale, e mentre Selene guidava nervosamente, non potevo evitare di domandarmi cosa fosse accaduto nella sala del Vescovo Nazel.
Continuavo ad avere la sensazione che se avessi guardato bene a fondo nella mia memoria probabilmente me ne sarei ricordata, ma avevo paura di farlo, perché pensieri neri ed oscuri si agitavano laggiù. Pensieri che non mi appartenevano, ne ero certa.
Sely ed io eravamo sole, in macchina, Fandango e Ian ci seguivano sulla Mini di Ivan.
Avevamo preso la Volvo s40 di Sely, stavolta. Si, era un auto un po’ vistosa, nera con le due linee bianche che l’attraversano per la lunghezza, ma sempre meglio un’auto d’epoca che un’auto con il tettuccio per buona parte divelto.
Mi dispiaceva che Clelia avesse rovinato il Doblò di Mario, mi ci ero affezionata un po’ a quell’auto, ma d’altra parte, quando un cucciolo di drago del peso approssimativo di un quintale e mezzo deve imparare a volare non si può pensare di usare un braccio come trespolo, così Mario aveva ben pensato d’invitare Clelia ad appoggiarsi sul tettuccio dell’auto e la dragonessa, con i suoi artigli, non aveva potuto evitare di ammaccarlo. Ma questa è un’altra storia.
Così ora a me ed a Selene non rimaneva che la Volvo, ma ero comunque intenzionata a far sistemare l’auto di Mario, prima o poi.
Sely rallentò preparanosi a svoltare nel parcheggio del cimitero. Grandi cipressi imprimevano la loro ombra nella luce aranciata dei lampioni sull’asfalto. Il cancello del cimitero sembrava chiuso, ma non avevo dubbi che qualcuno ci stesse aspettando per farci entrare. Parcheggiammo l’auto e scendemmo, incamminandoci verso il bestione guidato da Schneider.
E’ buffo.
Anche il cainita che aveva ammazzato Ivan faceva Schneider di cognome. Mi sono sempre chiesta se i due fossero parenti. Magari fratelli.
Dico la verità, l’aspetto dei due era piuttosto simile. Corporatura piazzata, alti due metri e con un’espressione incazzosa in faccia che avrebbe messo i brividi a chiunque.
Ma lo Schneider che accompagnava Morgana Daimon aveva una cicatrice che gli sfregiava il volto, dividendolo quasi a metà e dandogli un’aria ancora più feroce, con quei capelli dritti e corti ingellati sulla testa e bracciali di borchie, quelle vere, quelle appuntite, vietate, che fanno male.
Lo sbattere delle portiere, poi il lampeggiare delle luci accompagnate dal suono della chiusura centralizzata mi fecero voltare ad osservare Fandango ed Ian che si avvicinavano.
Allora e non un attimo prima le portiere del gigantesco mezzo si aprirono e Morgana, Bronach, Najiv ed un altro tizio dall’aria distinta scesero. Lo sconosciuto era alto quanto Schneider, ma meno piazzato e decisamente più elegante, con quell’aria distinta tipica dei Custodi, dei Lasombra, liquidai lo sconosciuto come un probabile nuovo acquisto nel Branco dei Mietitori e mi avviai.
Seguimmo in silenzio fino al cancello Schneider, Morgana e Bronach e, lì, una figura ammantata aprì il cancello di ferro dall’interno. In silenzio, come fossimo una processione di anime in pena, ci avviammo per il vialetto, al seguito dei fratelli Daimon e dell’altra figura che si mantenne celata sotto al mantello. L’unico rumore era il suono della ghiaia che scricchiolava sotto i nostri piedi e l’unica luce era quella dei numerosi ceri e lumini accesi sulle tombe tutto attorno.
Morgana e Bronach ci stavano conducendo verso la parte più antica del cimitero, un assembramento di cappelle e tombe di famiglia sormontate da grandi croci o statue di angeli.
La figura ammantata ci fece cenno di sostare sollevando una mano protetta da un antico guanto d’arme. Si scoprì il volto e per un attimo rimasi ad osservare la serie di piccoli corni appuntiti che ne decoravano la fronte, ai lati della quale spiccavano due corna più lunghe, leggermente ricurve verso l’alto. Il viso sembrava coperto da una maschera d’osso, ma so per esperienza che non era una maschera quella che vedevo, ma l’osso rimodellato del cranio. Una scelta estetica d’impatto. Cercai nella memoria, tra le decine di file fornitimi parecchio tempo addietro dai miei superiori. Il cainita si rivelò essere Viktor Lostarot, uno dei due Diavoli, gli Tzimisce, membri del Branco di Morgana.
L’altro, Vladimir Voukodlack non lo scorsi da nessuna parte.
Comunque Lostarot ci fece cenno d’attendere e percorse i pochi metri che ci distanziavano da una delle cappelle più antiche. La pietra era smangiata ed annerita dalle intemperie, ma a rendere inquietante quel luogo, a dire il vero, erano le incisioni sull’arco di pietra sopra alla cancellata di ferro nero. Una serie di angioletti, o putti che dir si voglia, s’intrecciavano in abbracci e giochi, con sorrisi che con quella fioca luce notturna mi sembravano più malevoli che gioiosi.
Aperto il cancello che emise un fievole cigolio, Lostarot si fece da parte e così anche Morgana e Bronach.
Ci stavano invitando avanti, lasciandoci il privilegio di andare per primi a visitare la tomba di Ivan. Osservai Selene e le feci cenno di andare. Insieme ci avvicinammo al cancello, ma la lasciai passare per prima. Ne scorsi l’espressione indurita sul viso, mentre si chinava a sfiorare qualcosa poggiato al suolo, qualcosa che dalla posizione arretrata in cui ero non potevo ancora vedere. Sapevo che dentro di lei si agitavano spirali di rancore e di odio, la conosco, so che è fatta così.
«Ora sei qui, non potrò più farti incazzare, non potrò più dirti una cosa che avevo nel mio cuore fermo e freddo di vampiro…» la sentii mormorare, la ascoltai solo perché nel silenzio non potevo impedirmelo ed anche perché sapevo che se non avesse voluto farmi sentire mi avrebbe chiesto di aspettare più in la. Ed io l’avrei fatto.
«Amore.» pronunciò piano. Silenzio, nient’altro che silenzio, mentre lacrime nere sfumate di porpora presero a rigarle il viso. Dal giubbotto di pelle le dita sfilarono una rosa di velluto nero per lasciarla al suolo. Davanti a me, inginocchiata al cospetto della tomba di Ivan, vedevo una Selene distrutta. Si rialzò, asciugandosi il sangue colato dagli occhi vitrei con il dorso della mano. Mi scrutò per un momento, prima di chiedermi spazio per uscire dalla cappella. La osservai mentre s’incamminava a capo chino. Era decisa a raggiungere l’auto per proseguire il suo pianto, lanciando occhiate di sottecchi nei dintorni, come se cercasse qualcuno su cui abbattere la sua vendetta. Avrei voluto che restasse, ma non me la sentii di richiamarla.
Tolsi gli occhiali da sole, appendendoli all’asola della giacca e mi volsi di nuovo ad osservare la lastra di pietra dietro cui erano stati riposti i resti di Ivan. A terra erano poggiati un paio di ceri ed alcuni oggetti. Un leggero sospiro di vento si era intrufolato tra le pareti di pietra, increspando l’aria. Il leggero batter d’ali di una farfalla notturna turbava il silenzio perfetto della tomba. Assieme alla rosa di Selene, un piccolo fiore lilla tremò appena, lo stelo infilato in un vasetto di cristallo che riluceva dei riflessi dei ceri ed un bigliettino ripiegato sotto di esso attirò la mia attenzione. Chinandomi, lo sfilai con cautela, curiosa di leggere le poche parole vergate con calligrafia raffinata ma tremante. “Ti ho voluto bene, con te ho carpito attimi di eternità. Katrina”. L’assistente di Ivan. Chissà quando… chissà chi…
Non finii di pormi le domande, rimisi a posto il biglietto ed osservai l’altra cosa appoggiata al suolo. Una medaglietta raffigurante il pupazzo preferito di Mario, Gonzo, e sotto di essa un blocchetto di assegni quasi nuovo, su cui capeggiava una scritta in stampato “Lo so che l’hai fatto apposta a farti silurare in volo, così il libretto degli assegni che mi hai dato non vale più niente. Tipico. Ma appena ti rivedo ti sistemo io!
Ecco spiegato chi. Mario avrà portato Katrina alla tomba di Ivan prima di partire. Quando, di preciso, non posso saperlo.
Comunque già che ero li non potevo fare a meno di riflettere. Abbassai uno sguardo serpentino sulla lapide in memoria di quel che fu il Reverendo Ivan “Draco” Kubilny, gli occhi seguirono le lettere incise nella pietra. “Quel che fu…“, mi venne da pensare, ed un leggero sogghigno m’increspò le labbra. Involontaria reazione di cui m’accorsi subito e che ridussi fino a tornare nuovamente impassibile, sollevando solo un sopracciglio. Le parole lievi e quasi inudibili che mormorai rimarranno per sempre custodite dalla pietra a cui le rivolsi.
«Non mi da fastidio che tu sia morto, Kubilny, ma come sei morto. E tu lo sai perfettamente. Conosco chi ti ha ammazzato eposso dirti che non ha camminato a lungo sulla strada dei Black Wolves dopo la tua scomparsa… certe cose si pagano…» Un sorrisetto perfido sulle labbra «Prego ogni notte che che la Madre Oscura lo tenga sotto la sua ala, strettamente, e che insegni a lui come ha insegnato a me che il dolore è l’unica Via, la Via dell’Illuminazione, la Via della Conoscenza.» Ripresi gli occhiali da sole per coprirmi di nuovo gli occhi e recuperai l’aria distaccata di sempre. «Ha pagato per aver fatto piangere Mario e Selene. Ha pagato anche per questo. Onore, Kubilny. Riposa in pace.»
Uscii dalla cappella, il passo tranquillo, l’aria composta e mi affiancai a Morgana, lasciando agli altri spazio per andare a salutare Ivan.
Fandango ed Ian s’avvicinarono. Fandango entrò nella cappella, mentre Ian rimase appoggiato allo stipite appena fuori. L’unica cosa che sentii furono le parole del Gangrel.
«La vendetta per la morte di Ivan Kubilnyè stata servita fredda e dolorosa, ma soprattutto molto lenta.» il tono beffardo e vago rivolto all’aria fredda.
Attendemmo li il ritorno dei due, poi il Branco dei Mietitori volse le spalle alla cappella per osservarci.
Schneider fu il primo a parlare, dopo un cenno d’assenso di Morgana. La sua voce suonò potente, cupa e vibrante come il motore del suo Hummer.
«Peccato che il piccolo Ivan non abbia potuto vedere molto della Spada, ma resta il fatto che è un onore morire nella gloria del Sabbat… Comunque, visto che le smancerie non sono il mio forte ma quello del mio Vescovo, lascio solo il mio saluto a questo Figlio di Caino e un incoraggiamento al Branco che ha lasciato.» una pausa «Gloria al Sabbat nell’eternità!!» tuonò poi.
La foga con cui lo aveva pronunciato c’indusse tutti a ripetere un «Gloria al Sabbat!» che riecheggiò breve ed incerto nell’aria.
Dunque Morgana posò una mano delicata sul braccio di Schneider, invitandolo ad indietreggiare. La sua figura, minuta ed elegante accentrava automaticamente l’attenzione.
Alzando la voce con tono sicuro, ma colmo di riverente grazia prese a parlare.
La mano destra s’apprestò ad afferrare un pugnale che le veniva porto con consumato tempismo dalla creatura dalla pelle bluastra, Najiv, l’eterna fata.
«Tra le fila dei caduti, porto il mio rispetto a colui che combatte per la Spada. Figlio di Caino, il tuo sacrificio non è vano, la Spada ricorda i suoi guerrieri e coglie dal loro Glorioso destino un Eterno insegnamento.»
Lo sguardo scivolò su tutti noi, si volse, compì qualche passo, portandosi davanti alla cappella. Nel buio la lama scintillò e la mano guantata incise l’avambraccio mancino che prese a piangere sangue sulla terra gelida.
«Il mio sangue per il Sabbat, la mia offerta per i Gloriosi Combattenti che camminano sul suolo Sacro della Spada. Onore e Gloria.»
Le mani s’alzarono, la lama sporca di sangue che puntava minacciosa il cielo limpido, la voce tuonò nel buio una domanda. E solo poi venni a sapere che quella è la sacra legge dei Mietitori. Fu impressionante poter stare al cospetto di personaggi come questi, poter condividere la loro legge e la loro forza rinomata in gran parte d’Italia, sentirne la salda sicurezza vibrare nell’aria.
«Se qualcuno ci tradisse?» domandò senza guardare noi tutti, continuando a darci le spalle.
«Noi lo mieteremo!» giunse la risposta del suo Branco.
«E se si pentisse?» domandò ancora.
«Noi lo mieteremo!» ancora una volta la risposta dei Mietitori venne sicura.
«E se sette volte ci tradisse e sette volte tornasse da noi dicendo “mi pento”?» Morgana torse il busto, volgendosi ad osservarci ed ancora una volta la risposta si levò senza esitazione.
«Noi lo mieteremo!»
Sorrise il Vescovo, gli occhi le brillarono di una luce nera, come un’ombra che vi si agitava all’improvviso.
«Perchè questa è la legge che ci salva da Eretici e Traditori. Ivan “Draco” Kubilny, Dragone della Spada: la Nera Signora ha mietuto l’Eretico.» il suo tono era così sicuro che nessuno di noi potè dubitare che una simile legge ci avrebbe preservato dai traditori. Peccato che io ero una di quei traditori. Ero rimasta comunque impressionata.
Vedevo per la prima volta il carisma e la convinzione di questa donna, e solo in quel momento mi resi conto di quanto il Sabbat possa diventare pericoloso, forte e compatto se a guidarlo vi sono cainiti come lei.
«Gloria al Sabbat!» urlava intanto Morgana, trascinandoci tutti in un urlo collettivo che riempì l’aria ancor più di quello precedente.
Non me ne fregava niente che qualcuno potesse sentire, noi avevamo tutto il diritto di stare qui. Uno di noi era caduto, che Ivan poi dimorasse nel corpo di Xavier era un segreto dei Black Wolves.
Ivan… Non penso tutt’ora che il suo operato sia sempre stato ligio e retto anzi, molte volte il suo spirito personale prendeva il sopravvento sulle necessità del Branco. Ma d’altro canto so che non è mai stato capito a fondo anche se ho sempre avuto l’impressione che Ivan non volesse essere capito a fondo. Eppure so che l’unica cosa a cui veramente teneva era il suo Branco.
«Sebbene questo non sia stato un rito ufficiale, ritenevo giusto dare a Kubilny il giusto saluto e a dare ai Black Wolves la possibilità di vivere privatamente questo dolore. Onore a voi Black Wolves!» presa dai miei pensieri non mi accorsi subito dell’avvicinarsi di Morgana, che aveva posato le sua mani sulle mie spalle ed ora mi osservava accigliata, quindi mi sospinse appena «Andiamo, la notte è ancora lunga e tu, Reverenda Amuhi, hai alcune cosa da dirmi, vero?» non mi suonò minacciosa.
Anche se forse avrei potuto pensare che quelle parole lo fossero, sapevo anche che Morgana aveva visto quella notte, come me, qualcosa che non andava nella sala del Vescovo Nazel, dunque ora volevo solo togliermi questo atroce dubbio che aveva cominciato a formarsi nella mia mente.

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Pubblicato da Shekinah

Sono la burattinaia, sono il filo che da oggi reggerà il tuo burattino Sono colei che muoverà le dita ad indicare la tua sorte. Obbligherò le tue membra ad alzarsi contro il volere della Natura stessa, senza che tu possa fermarmi. Eseguirai la mia danza. E ti piacerà.

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