[Cronaca] Haiti’s Voodoo Nights – 5

Il Ductus stà esaminando, assieme al capitano Clavis, una mappa che indica solo i paesi più conosciuti, percorsa da curve di livello che si addensano ad indicare i pochi rilievi dell’isola..
Eluna parla concitatamente in un francese strettissimo. Riesco a tradurre il loro discorso, nonostante siano passati decenni da quando ho sentito qualcuno parlare in modo così fitto. Clavis non concorda sulla scelta del villaggio da sacrificare, ma infine cede al volere della madre. Con un leggero astio nel tono di voce indica un punto della mappa dove non v’è segnato nulla.
«Eluna dice che qui c’è il primo villaggio a cui dovrete recarvi, c’è una radura, poco distante dall’ansa di questo fiumiciattolo.» Il dito percorre un breve tratto di fiume, fermandosi poco distante, poi solleva lo sguardo su Fandango. «Domani sera avrà pronta polvere sufficiente per essere cosparsa su tutta la gente del villaggio.»
Il Ductus annuisce, quindi indica me, Mario e Selene.
«Ragazzi, lascio il compito a voi. Io credo che andrò a cercare l’accampamento di Schneider…»
Il discorso del Ductus prosegue, ma io non lo ascolto. Gli annuisco appena, la mia mente stà già pensando a come far saltare il piano, non per pietà verso la gente del villaggio che dovremmo sacrificare, ma per evitare che la Mambo costituisca il suo esercito di Zombie e far saltare, così, il piano del Sabbat.
Le congetture in cui si lanciano Fandango e Clavis non mi sfiorano nemmeno, così torno con Mario e Selene al rifugio, con la scusa di doverci organizzare per la notte a venire anche se in realtà non abbiamo nulla da preparare.
Braden ci segue, preferendo la compagnia più allegra di Mario agli scappellotti continui di Ian e alle occhiatacce del Ductus.
Una volta tornati con la Jeep lascio gli altri a discutere e scendo nel rifugio. Coricandomi sulla branda a fissare il soffitto, attendendo che arrivi l’alba con pazienza, prendendomi tutto il tempo per prepararmi un qualsivoglia piano d’azione.
Sento gli altri rientrare ed infine la stanchezza prende il sopravvento sulla mente, nella quale i pensieri si sono susseguiti fino a quel momento nell’inconscio, sfiorando appena la coscienza in attesa del sonno, nell’attesa che l’immobilità cali sul corpo portandosi via l’ultima apparenza di vita, mentre il mondo, fuori, invece comincia a muoversi.
E’ il silenzio a svegliarmi, al tramonto seguente.
Il silenzio e quel senso di fremente aspettativa che precede un qualsivoglia evento che può mettere a rischio l’esistenza.
Mi alzo, avviandomi nel corridoio , verso le scale.
Non c’è del tutto buio, sebbene il tramonto sia già a buon punto.
Calo gli occhiali da sole a coprire le mie pupille sensibili prima di salire gli scalini.
Stanotte sono la prima a svegliarsi.
Strano, di solito è Fandango. Che non sia nemmeno rientrato la notte precedente?
Alzo le spalle e mi guardo un po’ attorno. Chi se ne frega, trovo Fandango un pessimo Ductus, per quanto forte possa essere, ma mi fa comodo che lo sia.
Clavis si avvicina con il suo solito passo cadenzato.
Sembra tranquillo e riposato. Mi chiedo se anche lui dorma di giorno solo per farci da guida la notte.
«Sera capitano.»
Lui mi fa un rapido saluto militare, che non mi degno nemmeno di imitare, sembrerei un’idiota, credo.
«Samara. E’ tutto pronto, quando volete partire…» Il suo tono è vago mentre indica con il pollice alle proprie spalle la una delle due jeep. «La polvere è già stata caricata e vi ho lasciato anche una mappa con indicata la posizione del villaggio. Serve altro?»
Sorrido, mentre la lingua scivola a tastare l’aria. “Davvero efficiente, soldatino.” È il pensiero che mi passa per la testa, ma la mia aria soddisfatta non passa comunque inosservata al capitano.
«No, nient’altro. Aspetto che si sveglino gli altri e partiremo subito.»
Il militare mi osserva, si acciglia, apre le labbra, come a voler dire qualcosa, ma poi rinuncia facendo solo un lieve cenno affermativo con il capo. Decisamente l’idea di sterminare proprio quel villaggio non gli piace.
Aspetto con calma. Una breve attesa prima di veder uscire dal rifugio anche gli altri. Non vedo il Ductus e il Reverendo ha un’espressione turbata in viso, che cancella quasi subito quando si accorge che lo stò fissando.
Ivan pare ritrovare la sua indifferenza, impartendoci una rapida benedizione, infine saltiamo sulla jeep e ci avviamo.
Mario alla guida, Selene accanto a lui che, per mezzo di una piccola bussola, controlla la direzione da tenere sul terreno sconnesso.
Ad un gesto della mia compare Mario si ferma, spegnendo il motore.
«Ok, fermiamoci qui, meglio fare l’ultimo tratto a piedi, in silenzio.» mantiene la voce bassa scendendo dal mezzo, stessa cosa fa Mario ed io li seguo senza discutere. L’assassino rimane un attimo a pensare.
«Meglio assicurarci anche che non ci vedano. Studiamo la situazione e poi torniamo qui per organizzarci, ok?»
Annuiamo entrambe. Che bello, finalmente un po’ di collaborazione. Ecco quello di cui è sempre stato carente il Branco. Mario indica Selene.
«Tu vieni con me, ci penso io a nasconderti. Samara, tu fai da sola vero?»
Qualcosa di simile alla gelosia mi prende all’altezza dello stomaco, ma lo caccio via in men che non si dica. Che sciocchezza, io gelosa? E di cosa poi…
Annuisco appena. Lui posa una mano sulla spalla di Selene. Le loro immagini sembrano tremare e poi sfumare nel nulla. Spariscono entrambi. Devo imparare a farlo, poter usare le mie capacità sugli altri… ma non è questo il momento di pensarci.
Mi concentro, vedo le mie mani sfumare, so di essere riuscita nel mio intento.
Con estrema cautela mi avvio. Nessun rumore, nessuna minima traccia del mio passaggio deve essere visibile o il mio trucchetto rischia di saltare.
Procedo lentamente nel sottobosco per svariate centinaia di metri, forse anche un chilometro buono. Eravamo molto lontani dal villaggio, ma presumo le precauzioni non siano mai troppe.
La notte è tranquilla e camminare tra quei suoni, quei profumi familiari mi riporta al passato, ad una notte all’antitesi di questa.
Senza accorgermene mi trovo a fissare un’ampia radura dove l’erba cresce alta ed incolta. Mi guardo un po’ attorno, spaesata, eppure sicura che quello sia il luogo in cui si trovi il villaggio.
Un rumore sopra la mia testa m’incuriosisce, inatteso. Sollevo lo sguardo e rimango di sasso, bloccata dalla sorpresa.
Il villaggio è sospeso tra gli alberi. Sopra la mia testa scorgo una figura, la fonte del rumore, probabilmente. Mi trovo esattamente sotto al villaggio.
Una rapida occhiata alla situazione poi torno alla Jeep.
Selene se ne stà immobile appoggiata al rivolto a terra, Mario cammina avanti e indietro, le mani infilate nelle tasche, non saprei dire se nervoso o meno, l’espressione del viso dalla pelle scura non lascia trasparire nulla.
Li raggiungo, mi appoggio ad un tronco con la schiena, incrociando le braccia al petto e mi schiarisco la gola tornando ben visibile, l’assassino si ferma e mi osserva.
«Ce ne hai messo di tempo.» Una lieve sfumatura ironica nella voce di Selene.
«Sai, ho dovuto imitare il verso del cuculo.» il mio tono è divertito, solo Selene sa a cosa mi riferisco, un vecchio episodio di quando lavoravamo ancora per i fatti nostri.
Mario aggrotta le sopracciglia, guardandoci senza capire per un momento, quindi alza le spalle.
«Qualche idea ragazze?»
Rimango a pensare, sono perplessa, in effetti un’idea ce l’avrei per spargere la polvere, ma non ce l’ho per mandare all’aria il mio stesso piano. Alzo le spalle.
«Ci serve un diversivo che attiri le sentinelle lontano dalle capanne, in modo da poter spargere la polvere passando inosservati.»
Mario annuisce.
«Ok, e fin qui ci siamo. Chi si occupa del diversivo?»
Selene si scosta dall’auto con risolutezza, prendendo il barilotto di polvere e porgendolo verso l’assamita.
«Ci penso io, voi due siete più bravi di me a passare inosservati.»
Scuote la testa arricciando incerta le labbra.
«No, ci penso io, so già anche come fare senza destare troppi sospetti. Salirò su una passerella e assumerò le sembianze di un cobra. Attirerò la loro attenzione e mi sposterò in continuazione, in modo tale da lasciarvi campo libero.»
Selene mi guarda un po’ preoccupata, ritraendo il barilotto verso di se, senza dire nulla, solo un lieve accenno affermativo con il capo. Mario sembra pensarci un po’ su, quindi annuisce a sua volta.
«Va bene, allora andiamo. Selene, tu porta il barilotto. Samara per tornare devia un po’ dal percorso, per depistarli nel caso ti seguissero.»
Se fossi viva ora prenderei un bel respiro profondo prima di avviarmi, ma visto che non lo sono m’incammino e basta, cominciando a confondermi nell’oscurità.
Arrivata al villaggio passo in rassegna i tronchi. Ci deve essere un mezzo d’emergenza per salire o scendere gli alberi rapidamente. Trovo infine una corda incastrata e mimetizzata in una cavità della corteccia. Torno visibile, di modo che gli altri mi possano seguire, poi salgo la fune, penosamente lenta, per non far troppo rumore, mi sporgo oltre il piano, nessuno. Mi isso e mi scosto dalla corda che si muove appena e si tende. Non mi sporgo a controllare, so già chi è. Mi concentro, è ora di attirare l’attenzione.
Lentamente la mia pelle impallidisce, cambiando colore, divenendo di un giallo malsano, poi, riprendendo colore, lascia affiorare una serie di piccoli rombi che s’intrecciano tra loro sempre più strettamente dando l’impressione di assorbire i capelli, i vestiti, anche gli occhiali da sole. Le braccia si fondono sui fianchi, partendo dalle spalle, poi i gomiti, infine i polsi e le mani; le gambe sembrano cedere, in realtà si congiungono tra loro, acquisendo una flessuosità innaturale per un corpo umano. Il viso si allunga, le orecchie si spostano all’indietro, unendosi al cranio, sparendo. Finalmente la mutazione è completa.
Comincio a strisciare silenziosa sulla passerella. Mi sollevo, portando il mio grosso muso serpentino all’altezza del viso della sentinella e le sibilo dispettosamente in un orecchio. Il suo volgersi di scatto mi fa ritrarre d’istinto. Vedo il terrore nei suoi occhi. Fingo un tentativo di morso, quindi comincio ad indietreggiare mentre la sentinella comincia a richiamare l’attenzione delle compagne con voce che via via si fa più sicura, puntandomi contro una lancia corta per tenermi a distanza.
E’ una donna. Una donna, il cui unico dettaglio che io possa trovare interessante è che ha un solo seno, come le amazzoni delle leggende. E’ sicuramente una guerriera.
Non so dove siano finiti gli altri, e la breve occhiata che lancio intorno mi distrae. Impreco nella mia mente quando la lancia mi sfiora, lasciando un taglio sul mio bel muso, imponendomi di prestare attenzione alla donna che avanza, che studia ogni mio movimento senza poter comunque prevedere il mio ennesimo scatto in avanti. Una musata la colpisce e la donna cade sulla passerella facendola traballare. Viene raggiunta da altre donne come lei. Solo donne, sono tutte donne!
Non ho più cognizione di dove mi trovo, ne da quanto tempo io stia scappando passando da una passerella all’altra, da un ponte all’altro, da una capanna all’altra. Non so se Mario e Selene hanno già svolto o meno il loro compito, so solo che le guerriere si sono organizzate e mi stanno prendendo da due lati bloccandomi in mezzo ad una passerella, sospesa sul nulla. Non mi rimane altro che lasciarmi cadere oltre il bordo, di sotto, sperando che i diversi metri di caduta non mi facciano troppo male. Scivolo oltre il bordo, nel vuoto.
L’impatto è duro e doloroso, ma non come avrei pensato, forse per via del mio corpo invertebrato, forse per l’erba alta… l’erba alta! Un’idea mi attraversa la testa nel notare l’erba schiacciata dal mio peso mentre striscio verso la radura. Sento le nonne urlare in mia direzione dall’alto. Una lancia viene scagliata contro di me mentre striscio, apparentemente a caso, nell’erba, schivandomi di un buon mezzo metro. Spero che almeno una di loro sappia leggere.

mort

E’ l’unica parola che mi passa per la mente. Tutto ora è nelle loro mani.
Se capiranno bene, altrimenti tra qualche giorno il villaggio sarà sterminato e un buon numero di zombie si aggiungerà alle schiere di Eluna.
Mentre mi allontano comincio a sentire delle urla ed un gran trambusto. Mi fermo per qualche attimo a dare un’ultima occhiata a cosa stia accadendo e vedo molte donne scendere dalle capanne e cominciare a correre per la radura conducendo in braccio o tenendo per mano tantissimi bambini, incitandosi a vicenda a sbrigarsi.
La fortuna è stata dalla mia, questa volta.
Non mi soffermo a gongolarmi, anzi, mi sbrigo a dirigermi alla Jeep, riprendendo via via forma umana. Quando sbuco dal lato dell’auto devo essere ancora a metà della trasformazione perché Mario e Selene mi fissano per qualche istante, mentre le grida delle donne arrivano alle mie spalle, fievoli per la distanza.
«Bene, per stanotte è fatta, torniamo al rifugio…»
Mario diviene sospettoso, annuisce appena mentre sale in auto accingendosi a partire.
«Perché urlano tanto?»
Alzo le spalle fingendo noncuranza e divertimento.
«Ho cercato di morderne una.»
Il mio sorrisetto e il mio tono divertito lo fanno rabbrividire. E’ ancora troppo umano, per questo distoglie lo sguardo mentre salto su, senza indagare oltre, partendo per allontanarsi con una certa fretta da quel vociare fioco che sembra ora disturbarlo.

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Pubblicato da Shekinah

Sono la burattinaia, sono il filo che da oggi reggerà il tuo burattino Sono colei che muoverà le dita ad indicare la tua sorte. Obbligherò le tue membra ad alzarsi contro il volere della Natura stessa, senza che tu possa fermarmi. Eseguirai la mia danza. E ti piacerà.

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