[Cronaca] Haiti’s Voodoo Nights – 3

La notte è buia, nessuna stella che illumina il cielo, quando cominciamo la nostra marcia verso il luogo in cui avremmo dovuto rifugiarci per i prossimi giorni ed un suono ritmico e musicale ci giunge alle orecchie. Sembra lo sbatacchiare di qualcosa. Un rumore secco e rigido, come uno di quei campanellini che spesso si appendono alla porta o alla finestra, si, ma campanellini fatti di un materiale strano… anzi no… forse un po’ come maracas… Ed il rumore di un passo strascicato accompagna questo orrido scampanellio, che man mano si avvicina. Lo riconosciamo: è il suono che producono le ossa, secche. “Appese sulla cima di una bastone magari…” mi viene da pensare. Non è un uso così strano per una Macumbera… per una come Mambo Eluna.
Ed i passi… i passi strascicati e un po’ “stanchi” di chi non ha più voglia di alzare i piedi da terra. Di chi non ha più forze per sollevarli da terra. Di chi non ha più vita per sollevarli da terra.
Sono un paio, quelli che strascicano i piedi, ed escono dal folto della boscaglia, uno da un lato e l’altro dall’altro del sentiero. Mentre una forma scura, bassa e un po’ informe avanza al cento della strada che stiamo percorrendo, sollevando con gesto repentino il bastone, sbattendone la punta a terra con un crepitare orridamente allegro e ritmico di ossa.
Lo strascicare dei piedi si ferma, le due figure ai lati, ormai individuate da tutti noi e ben riconosciute come zombi, si bloccano all’istante, con un’immobilità che sembra aleggiare intorno a loro con naturale freddezza.
Io ed Ivan avanziamo. Lui penso sappia il Francese dalla strana intonazione di Haiti, io lo parlavo piuttosto fluentemente, essendo questa la mia terra d’origine. Ma è passato così tanto tempo…
«Buona sera… » scruto la donna da capo a piedi capendo che la sua figura risultava informe poiché se ne stà un po’ curva, ed alla cintura diversi talismani penzolano da una fune che le stringe la vita. «Mambo Eluna?»
La donna annuisce e sorride, mettendo in mostra una fila di denti che variano dallo spezzato al mancante, passando per quelli macchiati e ingialliti. Il mio francese è per un momento esitante, avevo quasi avuto paura di non ricordare nulla di quella lingua, ma quando Mambo Eluna comincia a parlare è come se mi venisse naturale comprendere quel riversarsi di parole nella mia testa.
«Buona sera, viaggiatori, sono contenta che siate alla fine giunti fin qui.» La voce pacata, come la sua aria, così stranamente innocente, stridono fortemente con le ossa che dondolano appese al suo bastone e a quegli strani amuleti che, appesi alla vita, legati al collo, penzolanti dalle orecchie, ormai allungatesi sotto tutto quel peso, generano un contrastante senso di inquietudine.
Siamo spiazzati di fronte a lei. Almeno io lo sono. Questa donna è come un fantasma del passato che mi si sfoca davanti agli occhi, riportandomi alla mente alcuni ricordi d’una intensità quasi sconvolgente. Così, visto il mio silenzio prende la parola Ivan.
«Si, Mambo Eluna, è stato un viaggio lungo e vorremmo arrivare al rifugio alla svelta, di modo che domani notte potremo essere pronti ad ogni evenienza.»
La donna annuisce con un gesto così lento e minimo che se non fosse perché le tengo gli occhi incollati al viso non me ne accorgerei per nulla. Sbatte per terra di nuovo il bastone.
Ancora il secco rumore delle ossa seguito dal lento strisciare dei piedi di quelle creature.
La donna si volge, facendomi cenno di affiancarla, mentre si avvia lentamente, ma inesorabilmente verso il folto della foresta, mentre la sua voce pacata mi arriva all’orecchio forse per pura fortuna, forse con calcolato volume.
Ivan la affianca dall’altro lato, rimanendo con educazione ad un passo o due di distanza, sebbene non ce ne sia bisogno, poiché il discorso che la donna porta al mio orecchio è ben conosciuto a tutti.
Difatti quando Mario si avvicina con la sua telecamera nessuno si cura di allontanarlo.
«E così tu sei una bokor… Bene. Dovrò riportare a galla i tuoi ricordi allora.»
Non le sfugge il mio sguardo accigliato ed interessato, sorride tirando appena le labbra screpolate.
«Oh, non questa notte piccola mia. Appena giunti al villaggio vi affiderò a mio figlio, che vi condurrà al vostro rifugio.»
Con passo lento e cadenzato seguiamo l’anziana donna. Mi sento tranquilla, a casa, in quei luoghi così famigliari, ma tra gli altri serpeggia una certa inquietudine.
In effetti agli occhi di chi non l’ha mai vista, la foresta equatoriale risulta inquietante ed imponente, soprattutto di notte. Sorrido tra me e me nel vedere il disagio degli altri, una goccia di soddisfazione che va a riempire il buco lasciato dall’assenza della mia anima.
I rumori degli animali notturni, lo scricchiolare degli alti alberi equatoriali, il frusciare del nostro avanzare tra la folta vegetazione del sottobosco; tutto riecheggia nelle mie orecchie come fosse un fantasma del passato, restìo a farsi vedere, forse, ma non a farsi sentire.
Noto molta tensione negli altri, anche in Selene. Tutti stringono le armi con decisione, ma lo sguardo vaga all’intorno ansioso, in cerca di qualche segno, movimento o rumore sospetto.
Siamo stati avvertiti che la zona è piena di mannari, ma sono sicura che stanotte, condotti per la via da Mambo Eluna, siamo al sicuro. Confido che abbia preso le sue precauzioni.
Giungiamo alla fine al villaggio. Un raggruppamento di modeste capanne in legno sollevate dal terreno e disposte più o meno casualmente attorno ad uno spiazzo dove, probabilmente, viene acceso, di tanto in tanto, un grande falò.
Un uomo, che indossa una tuta militare praticamente identica alle nostre, si avvicina a passo cadenzato, il fucile a tracolla e sulla spalla sono visibili i suoi gradi. Tenente o Capitano… ho sempre fatto confusione, Amuhi non sarebbe stato fiero di me per questo. A quel pensiero sorrido mentre osservo l’uomo dai tratti tipicamente haitiani, non può certo sfuggire la somiglianza di quello sguardo con quello di Eluna, forse solo un po’ più freddo e deciso. Forse una persona più abituata ad imporre gli ordini.
L’anziana Macumbera si discosta da noi, avvicinandoglisi, mentre l’uomo si ferma ad osservarla.
«Non dovevate scomodarvi ad accompagnarli fin qui, Mambo Eluna.» reverenziale rispetto ed una sorta di lieve preoccupazione nella voce del militare.
L’anziana tira le labbra in un pacato sorriso, posando una mano rugosa sul suo braccio, come per quietarlo e senza dire nulla si allontana.
mario è agitato, nervoso, quasi fosse un bambino con l’urgenza di andare in bagno. Le occhiatacce di Ivan e di Fandango non servono a calmarlo come anche lo sguardo serio del militare, che passa ora su ognuno di noi, fregandosene altamente del fatto che nella catena alimentare lui stà decisamente sotto di noi; il tono che sfodera è decisamente pratico.
«Bene, rimane poco all’alba, meglio muoversi e tu…» un lieve cenno del mento verso l’assassino esagitato «… non siamo in gita, comincia a stare fermo. Come ti chiami?»
Mario fa una smorfia, quindi solleva la telecamera, accendendola, il tono un po’ strafottente.
«Mario Rossi.»
L’uomo solleva un sopracciglio, stranito da quel nome tipicamente italiano.
«Tua mamma cosa ha fumato quando ti ha partorito?»
Uno sguardo tra l’irritato e lo schifato, non fa in tempo a voltarsi che Mario gli risponde, con un sorrisino.
«Eh, sapessi… e tu come ti chiami?»
Il soldato si ferma e si gira, tornando ad osservarlo, uno sguardo poi a tutti:
«Clavis…» punta il dito verso l’Assamita con un espressione seria ed irritata «Per te Capitano Clavis.»
Quindi senza attendere oltre s’incammina.
Decisamente non ha idea di che gradino della catena alimentare occupi questo tizio, ma presumo che il fatto che siamo qui per collaborare con il suo esercito gli dia il coraggio di parlarci come fossimo bambini di due anni. Spero che questo primo episodio sia anche l’ultimo, altrimenti non ci metterei una mano sul fuoco nel dire che non durerà un’altra notte.
Mentre penso, mi sfilano davanti e non mi sfugge il commento ironico di Mario.
«E la tua allora che si è fumata?»
Mi scappa da ridere, mi trattengo a stento, aspetto Selene e mi affianco a lei. Mi lancia un’occhiata, ma non ho nulla da dirle, solo mi va di avere di fianco la mia sorellina.
Ancora una lunga camminata, o meglio una lunga marcia, visto il ritmo sostenuto imposto dal Capitano attraverso la foresta. Solo qualche brevissima sosta per dare un’occhiata alla bussola e una alla mappa, per poter tracciare la via che dal villaggio va al rifugio, in modo da non dover dipendere sempre dal figlio di Eluna, avrà anche lui il suo bel daffare suppongo.
D’un tratto l’attenzione di Ivan, che notoriamente è quello di noi dalle doti percettive più sviluppate, viene attratta in su, verso una parete di roccia.
Lo guardo perplessa, mentre anche gli altri si accorgono del suo silenzio. Infine mi accorgo che il suo sguardo si è puntato su qualcosa.
«Che succede?» Il mio tono è basso, ma gli altri cominciano a guardarsi l’un l’altro nel notare il viso di Ivan, di solito dall’espressione tranquilla, tendersi nervosamente.
Seguo la direzione dello sguardo di Ivan, sollevando appena gli occhiali da sole per poter guardare meglio in lontananza, mentre la lingua scivola rapidamente dalle mie labbra, cogliendo un retrogusto di fumi di scarico e benzina che è un po’ inusuale. Ed infine sento il ringhio di Ian.
Mi trovo a fissare qualcosa di assolutamente fuori luogo e quando lo riconosco il mio primo pensiero è “M***a!”. Una fugace occhiata a Selene che pare pensarla come me. Ecco il nostro fot******imo contatto: Andariel Schneider.
Il suo furgone nero è fermo sul ciglio del dirupo, il motore spento, i fari accesi a fendere l’oscurità della notte che va schiarendosi. Pare che ci stesse aspettando. Poso una mano sulla spalla di Ivan, mentre il ringhio e le imprecazioni di Fandango e Ian mi giungono alle orecchie insieme al rumore che fanno le armi quando vengono imbracciate e caricate.
Dal retro del furgone scende un’altra figura annunciata dallo scorrere del portellone, Jack, lo Sceriffo della camarilla, si affianca ad Andariel e credo di non sbagliare nel dire che nel posto accanto al guidatore c’è un’altra figura dal profilo a me molto noto: Del Duca!
Per un attimo rimango immobile, come pietrificata, e lancio solo una breve occhiata a Selene, che annuisce appena confermando la mia impressione.
Ivan, invece, sembra nascondere molto bene la sua sorpresa, sempre se ne sia rimasto sorpreso. Porta una mano davanti allo stomaco, facendo un galante inchino come saluto, mantenendo lo sguardo ben fisso sui due.
Andariel e Jack, sul dirupo sono immobili come statue, difficile capirne l’espressione con questa luce, ma non dubito che vi sia dipinta la soddisfazione di averci trovati.
Mi affretto dunque a parlare, prima che qualcuno noti la terza figura, o forse prima che qualcuno le presti troppa attenzione.
«Reverendo, Ductus, meglio muoversi da qui. Se ci inoltriamo nella foresta non potrà seguire i nostri spostamenti.» cerco di tenere un tono ragionevolmente tranquillo. Conosco le capacità di Schneider, so che è uno dei migliori combattenti della Camarilla, ma contro noi tutti non può certo cavarsela, nemmeno con l’aiuto di Jack, non voglio che mi ammazzino il contatto appena arrivata ad Haiti, sarebbe una scocciatura. Per non parlare del mio superiore.
Inaspettatamente Fandango mi da ragione, ma il suo tono è aspro e carico di tensione. Non vede l’ora di poterlo ammazzare; e la stessa cosa leggo negli occhi degli altri componenti dei Black Wolves.
«Già, e in più stà per sorgere il sole anche per lui. Spero gli si bruci quel suo giubbotto di pelle del c***o.» un tono lievemente ironico nel concludere la frase mentre si dirige velocemente verso Clavis che dopo qualche secondo comincia a richiamare, con silenziosi gesti il gruppo, invitandoci ad inoltrarci tra gli alberi.
Procediamo di corsa ora, sparpagliati tra gli alberi. Il respiro degli umani si sente lontano chilometri e mi mette un certo appetito. “Non è il caso Sam, guarda avanti e basta. Ma che gli è saltato in mente a quell’idiota di venire di persona?” il pensiero che Del Duca si sia esposto così tanto mi preoccupa e mi agita, il che renderà il compito mio e di Selene oncora più complicato.
Seguiamo la nostra guida fino a quando gli alberi si allargano, inaspettatamente, d’improvviso, davanti a noi rivelando rovine di pietra in una larga radura. Alcuni soldati fermi di guardia sollevano le armi puntandocele contro allarmati, ma ad un rapido gesto di Clavis la tensione nelle loro braccia svanisce e tornano al loro compito.
Avanziamo per le rovine, Clavis fa un cenno al Branco di seguirlo fino ad una scala di pietra, coperta di muschio e corrosa dal tempo, che affonda nella terra dando la netta sensazione di essere li abbandonata da secoli, se non millenni.
«Benvenuti ad Haiti, Signori.» il tono ironico ed un gesto ad invitarci a scendere è tutto ciò che ci concede il Capitano prima di correre via a dar disposizioni agli uomini che vengono smistati in altri ingressi nascosti, come questo, tra le rovine.
Scendiamo le scale con cautela, fino a trovarci in un lungo corridoio di pietra sul quale si aprono numerose celle in ognuna delle quali è stata posta una branda.
L’illuminazione dell’ambiente è scarsa e parte da circa metà corridoi, per questo dall’esterno sembrava così buio. Una fila di semplici lampadine, collegate tra loro da un cavo nero che le alimenta grazie ad un generatore d’emergenza che rompe il silenzio con il suo ronzio incessante.
“Suggestivo” è il commento che mi passa ironicamente per la testa mentre cominciamo a sistemarci appropriandoci delle celle e cominciando a depositare il nostro scarso equipaggiamento.
Il resto della roba arriverà in giornata.

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Pubblicato da Shekinah

Sono la burattinaia, sono il filo che da oggi reggerà il tuo burattino Sono colei che muoverà le dita ad indicare la tua sorte. Obbligherò le tue membra ad alzarsi contro il volere della Natura stessa, senza che tu possa fermarmi. Eseguirai la mia danza. E ti piacerà.

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