[Cronaca] Haiti’s Voodoo Nights – 1

Caricati dall’Auctoritas Ritae ci accingiamo a partire per Haiti. L’unica pecca di questa missione è che Ian non può portarsi il suo equipaggiamento.
La faccia che ha fatto, quando Ivan gli ha vietato di portarsi lo Stinger che aveva rubato qualche sera prima in non so quale base militare, è stata impagabile. Impagabile davvero.
Un bambino a cui viene tolta di mano la caramella già scartata.
Un ragazzino che si sente dare il due di picche dalla tipa che sembrava innamorata cotta di lui.
Impagabile.
L’unica cosa che scoccia me, è che Del Duca non ci ha ancora dato nessuna notizia del nostro contatto.
Come crede che si possa lavorare così?
Finalmente le macchine del Vescovo Nazel ci vengono a prendere.
Non abbiamo molti averi da caricare, la maggior parte dell’equipaggiamento che abbiamo richiesto ci attende direttamente sull’aereo militare che dalla base di Aviano ci porterà a uno scalo intermedio, a Capo Verde se non sbaglio, da dove ripartiremo in nave, verso Port de Paix, Haiti.
Dovremo attraversare il Triangolo delle Bermuda nella sua parte più inferiore. Solo pochi chilometri di navigazione in realtà, ma sono quelli che più di tutti ci mettono curiosità. Si sono sentiti tanti racconti su quella zona…
Comunque noi passeremo così a Sud, nella sua fascia più stretta, che dubito possa accadere qualsiasi cosa. Per lo meno io sono abbastanza tranquilla.
Eccitati come bambini indossiamo le divise militari che sono state fornite ad ognuno di noi e ci viene presentata la squadra che dovremo guidare.
Quaranta vampiri in tutto. Trenta soldati e dieci diplomatici. Ovviamente ci raccomandano di non perderci i diplomatici per strada. Bah…
Comunque il viaggio sarà di dodici ore, diviso in un paio di notti, all’incirca. Molte sono le considerazioni che mi passano per la testa mentre ci dirigiamo ad Aviano. Questo lavoro sarà davvero complicato per Selene e me, dovremo camminare sul filo del rasoio,tirare la corda e lasciarla andare al momento giusto, senza spezzarla.
Il viaggio sull’aereo è tranquillo, con Mario che continua a protestare perché non passano nessun film sull’aereo militare e Ivan che, colto dalla noia, si trattiene a stento dal fondergli le ossa in qualche strana postura e lanciarlo giù… ancora non ho capito se con o senza paracadute.
L’aereo è scomodo, stretto. Mi convinco sempre più che i fondi del Sabbat siano davvero molto pochi.
Finalmente giungiamo allo scalo di Capo Verde. Grazie al cielo, ero stanca delle lamentele di Mario.
Chissà perché Garth ha deciso di restare a casa…
…Ehi, cos’è questo canto?
E’ una nenia che mi rompe la testa, ipnotizzante; mi guardo attorno per un momento, ma gli altri sembrano non farci caso.
«Ehi, nessuno di voi la sente?»
Gli altri mi guardano storto, scuotono il capo o non mi rispondono nemmeno, troppo presi dal sistemare la roba per preparare il campo per passare il giorno.
E’ nella mia testa.
Dio, è così maledettamente affascinante, un ritmo tribale, rozzo, sgraziato, ma al contempo incalzante.
Alcune parole cominciano a prendere forma nella mia testa, scivolando dalle mie labbra con la stessa non-calanche della mia lingua serpentina.
«Hay Ya Lilitu…»
Mi accorgo di un’occhiata indagatrice di Ivan, ma poi tutti proseguono nei loro compiti, ho parlato a voce troppo alta, ma il Reverendo è l’unico che pare aver sentito qualche cosa. Si, forse era davvero un po’ troppo alta. Faccio finta di nulla, fingo che tutto sia a posto, mentre una strana frenesia comincia a cogliermi, ho fretta di allontanarmi, di seguire quel canto che sembra aver preso fissa dimora nella mia testa…
Devo prestare attenzione, perché Mario si aggira per il campo con una telecamera, è il giocattolino che ha preso il posto del pupazzetto di Gonzo, lasciato al sicuro sul suo letto, a casa. Gli altri sembrano abbastanza presi e indaffarati, è il momento di allontanarsi.
Al di fuori del campo il rumore della notte africana si fa più forte ed insistente, ma nulla riesce a contrastare il canto della Madre Oscura che mi riempie la testa.
Un frusciare sospetto delle foglie, mentre avanzo furtiva, forse qualcuno mi sta seguendo, ma devo sbrigarmi, è un bisogno impellente quello che mi fa procedere con sicurezza anche in mezzo alla foresta buia:
Mi butta addosso fretta, necessità e poi… chiudo gli occhi… dolore.
Credo di aver rimosso i ricordi di ciò che mi causò quel terribile, acutissimo dolore, così profondo da strozzarmi un grido in gola. Più doloroso ancora degli artigli del Grifone.
Patii per ore, forse solo per minuti, forse fu solo un secondo. Ma fu feroce e lancinante.
Nel buio alcuni sprazzi colorati riempiono la mia memoria, il rosso del sangue e lo schiarirsi del cielo. Ricordo con una chiarezza allarmante il cielo prendere colore e l’altrettanta allarmante sicurezza che il dolore fosse l’unica via per ottenere il potere, il dolore che lacera, che strappa, che sconvolge, che risveglia la mente.
E ringrazio la Madre Oscura di avermi chiamata a sé quella notte.
Quando torno al campo fervono i preparativi per partire con le navi che ci condurranno ad Haiti.
«Dove sei finita?» La domanda secca di Ivan non mi coglie di sorpresa, forse è stato proprio lui a seguirmi, la notte prima.
«Ho seguito un richiamo. Ma non ho trovato nulla di che.» il mio tono è risoluto, aiutata anche dal fatto che nessun segno mi è rimasto inciso addosso, almeno, nessun segno visibile.
La risposta sembra soddisfare, almeno in parte, la domanda di Ivan, che non pare comunque particolarmente curioso.
Si riparte. Tre navi ci porteranno a Port de Paix, la nostra si chiama Bloody Soul.
Il viaggio sembra procedere tranquillo, le navi procedono, con un lieve dondolio sulla superficie del mare, scura, uno specchio scuro, increspato dalle onde nel quale brillano, di tanto in tanto, gioielli di luce, la falce della luna ed i raggi delle stelle.
Ad un tratto veniamo chiamati sul ponte, urgenza nella voce dell’ufficiale che porta la notizia. Lo seguiamo senza indugio, ci stiamo avvicinando al triangolo delle Bermuda, o forse ci siamo arrivati.
Più probabile la seconda opzione visto che veniamo informati, da un capitano nervoso e sulla soglia del panico, che la bussola gira a vuoto, il radar segnala l’avvicinamento di qualcosa che subito sparisce e la radio manda scariche d’interferenza sempre più forti. Tutti gli strumenti sembrano impazziti ed inutili, e per finire le due navi che ci precedevano sembrano scomparse nel nulla.
Stiamo andando quasi alla deriva, secondo il capitano.
Mario parte di corsa per la cabina di pilotaggio, scansando il capitano che cerca inutilmente di fermarlo, io lo seguo mentre Ivan ci urla dietro.
«Ci penso io a darvi le indicazioni.» non so ancora come farà, ma se lo dice vuol dire che ne è in grado.
Selene e gli altri rimangono sul ponte, gli occhi puntati sul mare per cercare di scorgere quel “qualcosa” che si avvicina.
Saliti in cabina, seguiti dal capitano, Mario si mette ai comandi e io cerco con lo sguardo Ivan attraverso il vetro. Di tanto in tanto lancio uno sguardo a Mario che, con la faccia impegnata e assorta, per un attimo mi fa venire in mente Harvey, il protagonista de “Capitani coraggiosi”: “… Per la prima volta in vita sua, provava l’orgoglio di far parte di una schiera di uomini che lavoravano, e teneva duro rabbiosamente…”
Ma mi riscuoto in men che non si dica, perplessa mi ritrovo a fissare l’assassino che litiga infantilmente con il capitano su come si conduca una nave, fino a quando il capitano, indignato, si allontana gesticolando e borbottando. Mario sbuffa.
«Si, si, lo so che dovrei invertire la rotta?» poi torna ad osservarmi «Che dice Ivan laggiù?»
Io leggo il labiale, chiaro e ben scandito dell’umano infuriato, mi scappa da ridere e scuoto lentamente il capo.
«No, Mario… non ti stà dicendo d’invertire la rotta… ti ha mandato affanc**o…»
Lui sembra per un istante indeciso, quindi con un alzata di spalle sembra ritenere che la nave sia un giocattolo ben più interessante di uno stupido umano.
Torno a cercare Ivan, attraverso il vetro della cabina. Le due navi che ci precedevano sono sparite, nessuna traccia, nemmeno quel che potrebbe apparire una scia nell’acqua, niente. Una cupa e densa foschia sembra scendere sull’acqua, lentamente, cominciando a rendere tutto un po’ più spettrale.
Di tanto in tanto pare di scorgere qualche strana ombra, qualche sagoma nera, illusioni dovute probabilmente ai fari della nave che cercano disperatamente di spezzare la foschia e il buio.
D’un tratto il radar torna a segnalare qualche cosa in avvicinamento. Metto la testa fuori dal boccaporto, sbracciandomi per indicare un lato della nave.
«Ragazzi tenete d’occhio da quella parte!» vedo Selene e Ian precipitarsi nella direzione che ho indicato. Torno alla mia postazione alla ricerca di Ivan. Ed eccolo.
E’ immobile, nel suo completo bianco, è l’unico che non indossa la divisa militare, tra di noi, concentrato a fissare l’acqua agitata dal passaggio della nave… e non solo. Un grosso cetaceo, la schiena lucida per l’acqua, compare di tanto in tanto tra le onde, sembra quasi che Ivan le stia parlando; poi ecco che mi fa un cenno, facendo capire che dobbiamo seguire l’animale.
Quando glielo dico, Mario sembra perplesso, mentre il radar continua a bippare la presenza di qualcosa in avvicinamento. Forse è una delle altre navi…
In effetti quella che, dopo diversi minuti, appare è la sagoma di una nave, ma non è una delle nostre.
Sento gridare dal ponte, un’ombra vola sopra la nave, grandi ali scure, probabilmente è Ian.
Poi il rumore di una moto d’acqua che si allontana. Esco, dal boccaporto, scendendo rapida sul ponte e, accanto a Selene, tengo gli occhi ben puntati sull’ombra.
Infine la nave si delinea tra la nebbiolina, illuminata da un paio di grandi fari della nostra nave. Un’antica galea a remi, le vele ammainate, non sono strappate, sembra ben curata, nonostante lo scricchiolare del legno lo si senta da notevole distanza. Non è il capriccio di qualcuno… è davvero qualcosa di antico. Il ritmo del tamburo, a coordinare la remata dei vogatori, comincia a farsi sentire, mentre si avvicina sempre di più. Una donna bellissima, dalla coda di pesce è intagliata sul rostro di prua, i lunghi capelli si trasformano in riccioli di schiuma svanendo sulla chiglia della nave, che avanza a velocità sostenuta verso di noi. E’ bellissima, illuminata da torce e lanterne, la luce soffusa nella nebbiolina.
Per un momento sembra la nostra nave, quella fuori luogo in quelle acque.
Vedo la grande ombra nera di Ian volare a cerchi sempre più stretti sopra la galea, le prime urla, forse già le prime vittime del terrore che il suo aspetto demoniaco incute.
D’un tratto m’accorgo che Selene non è più accanto a me, veloce la cerco, e quando sento un’altra moto d’acqua trovo la mia risposta.
Nella sua tuta militare, i capelli sciolti al vento, l’espressione decisa, un fucile a tracolla si sta dirigendo verso la galea… un nome, dorato sullo scafo, fatico a leggerla con la poca luce: “Goute de l’Océan”… “Goccia dell’Oceano”, un nome adatto direi.
Davanti a lei, l’altro acqua scooter d’un tratto viene trascinato sott’acqua, un gran ribollire prima di vedere la moto tornare a galla, ma senza il guidatore, e la scia gorgogliante muoversi verso Selene.
La mia umanità prende per un attimo il sopravvento mentre rimango immobile ad osservare Selene.
Se fossi stata viva avrei trattenuto il fiato.
Se fossi stata viva avrei sospirato di sollievo nel vedere Selene tornare di gran carriera verso la Bloody Soul.
Ma non lo sono, mi limito, dunque solo a rimaner immobile, mentre la galea ha cominciato a prendere fuoco, i remi fermi ormai, la figura di Ian che con una breve corsetta sul ponte che brucia apre le ali e sfiora per un momento l’acqua prima di riprendere quota sopra alla Goccia dell’Oceano che torna a sciogliervisi… già, perché non s’inabissa.. scompare, lentamente.
Ivan mi raggiunge, tranquillo, lo sguardo puntato sulla galea, il tono tranquillo.
«Quel cetaceo ci condurrà fuori dal Triangolo delle Bermuda. Torna da Mario e controlla che sia tutto a posto, poi aiutalo a tener d’occhio la bestia.»
Annuisco e mi avvio in cabina, ma Mario non ha bisogno del mio aiuto, se la cava egregiamente, quasi fosse un vero lupo di mare…
Per un momento ricompaiono le altre due navi, poi, come fossero delle illusioni, scompaiono subito nella foschia, mentre davanti a noi inizia ad allargarsi una bolla nera, più scura del cielo notturno e dell’acqua… ancora più nera, e si allarga, sempre più, inesorabilmente. Ci stiamo finendo dentro e a nulla sembrano valere gli sforzi di Mario ed i miei per cercare di portare la nave fuori dalla portata di quell’oscurità. E finiamo in un vortice…

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Pubblicato da Shekinah

Sono la burattinaia, sono il filo che da oggi reggerà il tuo burattino Sono colei che muoverà le dita ad indicare la tua sorte. Obbligherò le tue membra ad alzarsi contro il volere della Natura stessa, senza che tu possa fermarmi. Eseguirai la mia danza. E ti piacerà.

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