AUCTORITAS RITAE

– Notte di follìa –

Temo che ormai nulla possa far tornare Selene e me davvero sulla “retta via”.
Purtroppo quando stai con lo zoppo impar2121i, volere o volare, a zoppicare. Non c’è niente da fare.
Sacrosanta verità.
Dopo un paio di mesi passati a risistemarci in tutta calma, Ivan viene contattato di nuovo dal Vescovo Nazel.
Due mesi nei quali Selene è riuscita a consegnare quello stramaledettissimo cammeo a Del Duca e ad avere la nostra ricompensa: una Volvo V40, nera, per accontentare Selene ma che fa sempre comodo e poi altri giocattolini per tutte e due. Armi e proiettili speciali costano e sono difficili da trovare in giro, così ne approfittiamo. E quando stringo tra le mani la mia nuova balestra a caricamento doppio o il mio fucile per anarcotizzanti, mi sento un po’ più tranquilla, soprattutto se i paletti hanno la punta in argento e i proiettili sono caricati ad acqua santa.
Sicuramente lo stesso vale per Selene e i suoi nuovi esplosivi.
Ma torniamo al Vescovo. Ci chiede di andare a trovarlo, nel suo ufficio di Mantova, ha un nuovo incarico per noi, soddisfatto, a quanto pare, dello svolgimento del precedente, nonostante alcuni disguidi.
Dopo un paio di notti ci troviamo nel suo ufficio, un’ampia sala al centro della quale è posto un lungo tavolo, al quale ci chiede di accomodarci, mentre ci spiega quali sono le opzioni: Haiti o Spagna.
Ci informa che abbiamo l’opportunità di scegliere, ma che dobbiamo farlo entro una settimana, il tempo stringe. Nessun’altra spiegazione. Informazioni più dettagliate ci saranno fornite nel momento in cui decideremo dove andare.
Sinceramente opto per la Spagna… tornare nella mia terra d’origine, Haiti, mi mette un po’ d’ansia, soprattutto quando non ne conosco il motivo.
Ma i Black Wolves sono un gruppo democratico.
Si lasciano una notte per pensarci e dopo altre due ecco che ci troviamo di nuovo in quell’ufficio, seduti ad ascoltare da bravi scolaretti la lezione su Haiti.
Ad Haiti è diffuso il culto del Vudù, leggermente diverso da quello brasiliano. Tanto per cominciare la figura principale, ad Haiti, viene chiama Mambo e non Mama.
Nazel ci spiega che al momento il territorio Haitiano è minacciato dalla Mama del Vudù Brasiliano, una certa MariaQualcosa, quindi, molto semplicemente, dovremmo andare a dare una mano alla Mambo Haitiana, Eluna, a creare un esercito di zombie Vudù con cui tenerla a bada.
Purtroppo tutto questo sottintende una guerra indiretta tra Sabbatici, che sostengono Haiti, e camarillici, che invece sostengono il Brasile, e pone Selene e me in una bella situazione… ironicamente parlando, ovvio.
Per questo, appena posso, telefono a quel bellimbusto di Del Duca per chiedere chiarimenti sulla posizione che dovremo tenere la mia compare ed io.
Quando gli riferisco la notiziola la sua voce risulta molto preoccupata:
«La notizia che mi dai è abbastanza grave. Tu e Selene partite con i Black Wolves, fate il loro gioco, almeno in apparenza. Avranno bisogno di lei per via dei mannari, quella zona ne è infestata, mentre so che tu avevi buone conoscenze del Vudù, quindi avranno bisogno di te per creare gli zombie. Cercate di mandare a monte il loro piano, non possiamo permettere che facciano fuori una delle nostre maggiori sostenitrici in Brasile. Vi manderò un contatto, per darvi una mano… appena so qualcosa di più preciso vi farò sapere il nome.»
Annuisco al ricevitore, questa volta mi sembra sia davvero una cosa seria e complicata.
«Va bene, faremo del nostro meglio.»
Faccio per riagganciare; di solito quando gli rispondo così mi riappende in faccia, ma lui si affretta ad aggiungere ancora una cosa.
«Samara… fate attenzione.»
Poi chiaramente non faccio in tempo a rispondere che riaggancia. Ecco, mi ha fregata un’altra volta. Che l’abbia fatto apposta?
Non saprei, in fondo sembrava preoccupato sul serio. Fisso perplessa il cellulare per qualche istante prima di decidere che mi ha semplicemente fregata per l’ennesima volta.
I Black Wolves decidono di festeggiare la partenza per Haiti dandosi alla pazza gioia, il che vuol dire officiare quello che loro chiamano “Auctoritas Ritae”. Il che stà a significare: sangue, dolore e casini a non finire.
In realtà Ivan, il Reverendo del Branco, quindi colui che dovrebbe stare in prima linea in un’occasione del genere, sembra troppo impegnato per poter partecipare, ma ci da la benedizione su qualsiasi cosa vogliamo fare.
Esco, la via è deserta, a parte qualche macchina parcheggiata. Le luci nelle case sono accese, ma in realtà sembrerebbe tutto un po’ noioso se non fosse che Ian e Saigon stanno giocando a lanciarsi il coperchio tondo di un tombino come fosse un frisbee, centrando qualche palo della luce o qualche macchina.
Sentendo il chiasso che fanno anche Mario ci raggiunge, e quando il tombino sfascia la finestra di una casa è lui che si offre di andarlo a riprendere. Muta le sue sembianze in quelle di un anziano signore e suona il campanello.
E’ strano, a mano a mano che si avvicina all’abitazione i suoi lineamenti si modificano, cambiano, anche i suoi vestiti cambiano e l’impressione è quella che si sia lasciato dietro la scia evanescente della sua normale apparenza.
Una signora, dall’aria sbigottita, tremante come una foglia, apre la porta e guarda Mario. E’ chiaramente sotto shock. Con voce tranquilla ed educata Mario sorride alla signora.
«Mi scusi signora, ma i miei nipotini stavano giocando a frisbee e senza volere l’hanno lanciato in casa sua, non è che gentilmente me lo restituirebbe?»
La signora non sembra capire, ci fissa sempre più sbigottita, sull’orlo del pianto, la bocca spalancata, il respiro affannoso. Provo pena per lei.
«Mio marito… mio marito è…»
Senza attendere che prosegua oltre, non volendo sentire quello che la signora ha da dire, mi tolgo gli occhiali da sole che celano perennemente il mio sguardo e la fisso. Con uno sforzo mentale quasi minimo le impongo un po’ di calma e ripeto la richiesta di Mario.
La donna annuisce, come un automa, torna sui suoi passi e dopo qualche istante ricompare, trascinando a fatica il grosso tombino di ferro.
Vorrei saper cancellare la sua memoria, poveretta, ma tutto quello che posso fare è attendere che ci riporti il disco di ferro e poi chiudere la porta.
Divertiti dall’accaduto Mario e Ian si mettono a discutere sul da farsi ed infine sembrano concordare su qualche cosa. Mentre l’assassino corre in casa tutto eccitato come un bambino che abbia in mente di fare uno scherzone alla maestra, Ian mi raggiunge spiegandomi il piano.
Andremo a ballare.
Il locale scelto è una balera, frequentata da anziani, in un paese non molto distante. Mi stà bene, è l’occasione giusta per sfoderare le mie nuove abilità senza espormi troppo. Dopo duri tentativi ho imparato da Mario a utilizzare meglio le mie capacità di camuffamento. Ho imparato da lui a cambiare il mio aspetto esteriore come voglio.
Per l’occasione Mario ed io saremo una bella coppietta di anziani, Ian e Saigon saranno i nostri cari nipoti.
Dopo che Mario ha preparato un cd da far mettere nel locale ci avviamo baldanzosi e appena prima di entrare camuffiamo i nostri visi.
Ian e Saigon rimangono all’esterno, giocando ancora con l’ormai inseparabile tombino, mentre Mario ed io entriamo; lui abbastanza tranquillo, io spingendo uno di quegli affari per le nonnine con difficoltà deambulatorie. Non destiamo nessun sospetto.
Il luogo è illuminato e parecchie persone si cimentano in passi di danza e piroette, con la grazia acquisita da anni di pratica. Nessuno è sotto i cinquant’anni. La musica, non eccessivamente alta, è una serie di valzer, mazurche e via dicendo. Lasciamo passare un po’ di tempo, quindi in un attimo di pausa, comincio a portarmi al centro della pista, mentre Mario chiede gentilmente se è possibile mettere il cd che porta con se, un regalo per la sua amabile moglie, cioè io.
Il signore annuisce gentilmente e mette il cd di buon grado.
Una musica tutt’altro che da balera si diffonde nella sala, lasciando i nonnetti attoniti.
Un ritmo decisamente scatenato per loro. Mentre io comincio a ballare e dopo qualche secondo lascio andare il deambulatore lanciandomi, insieme a Mario, in una sfrenata breakdance.
Rimangono tutti a fissarci stralunati. Ed in effetti la scena è alquanto strana. Una coppietta di circa novant’anni che balla la breakdance non è certo cosa da tutti i giorni.
Come segnale convenuto alla fine della canzone Saigon ed Ian dovrebbero entrare.
La musica finisce ed io mi fermo, in mezzo alla pista da ballo, ormai vuota, insieme a Mario che mi porge gentilmente il braccio.
Saigon entra e dopo un rapido sguardo accorre in mio aiuto.
«Ma insomma nonno, quante volte ti ho detto che la nonna non è più giovane come una volta. Certi balli non può mica più permetterseli!» da bravo nipote mi porge il braccio ed io mi sorreggo fingendomi affaticata.
Poi vedo molti anziani davanti a me impallidire, alcuni rimangono immobili sulle sedie, probabilmente gli è preso un infarto secco. Così ci giriamo e vediamo entrare Ian nella sua forma demoniaca.
«Ma insomma caro, ti sembra il modo di presentarsi in pubblico?» lo redarguisco puntandogli contro l’indice, da brava nonnetta «Chiedi scusa ai signori!»
Ian annuisce. La voce che gli esce di gola è profonda e innaturale, mentre un ghigno si palesa sulle sue labbra, rivelando i suoi denti aguzzi.
«Chiedo scusa.»
Molti anziani cadono al suolo morti di paura, altri scappano in fondo alla sala nascondendosi come possono, ma ormai non sono che una decina di persone. Mario da una pacca sulla spalla a Ian.
«Su, su nipotino, forse non ti hanno sentito, prendi il microfono e chiedi scusa.»
Ian raggiunge il microfono, tenendolo a fatica in mano, troppo piccolo per le sue zampe. La sua voce rimbomba, facendo partire le casse in un lungo fischio che assorda tutti. Quando torniamo a guardare, gli anziani non si muovono più.
La sete di crudeltà di questa gente sembra essersi appagata, almeno in parte.
Vogliono raggiungere il Bowling ora e combinare qualche altro casino, una rissa credo, oppure ostentare un po’ il loro potere.
Appena fuori mi ritraggo in disparte con la scusa che vorrei cambiare travestimento. Prendo il cellulare e telefono a Selene. Un paio di squilli e la sua voce, resa un po’ gracchiante dalla linea del mio cellulare che va e viene, mi risponde annoiata.
«Seli, ascolta, stiamo andando al bowling, vieni anche tu per favore. Non ti dico quanta gente hanno già fatto fuori nel giro di due ore…»
Lei per un attimo rimane in silenzio, quindi sento la sua voce, il tono deciso.
«Arrivo subito.»
Riagganciamo insieme, quindi muto il mio aspetto: una bambina di circa dieci o dodici anni, con due grandi codini. Torno dagli altri fingendomi baldanzosa, in realtà sono preoccupata per tutte le violazioni della Masquerade che avverranno nel corso della notte. Per lo meno, con l’aspetto mutato non mi riconosceranno e la mia reputazione di brava camarillica sarà salva.
Saliamo di nuovo in macchina e ci avviamo lungo la strada. Tutti meno Ian.
Lui decide che le vie aeree sono migliori; dispiegando le sue ali demoniache le sbatte un paio di volte, e con una breve corsetta spicca il volo, sollevando sempre più polvere ogni volta che le sue ali sbattono. Finalmente prende quota, lasciandoci via libera per partire.
Lo seguiamo con lo sguardo, dal finestrino dell’auto. Una volta in zona lo vediamo allontanarsi, deviando dal nostro percorso, chissà quale casino ha in mente.
Purtroppo Ian è, dei Black Wolves, il componente più difficile da controllare.
Rassegnata, osservo l’insegna allegra e colorata del bowling. Da locale arrivano musica, voci e il suono dei birilli che cadono. Qualcuno se ne stà fuori dal locale a fumare una sigaretta e a chiacchierare. Normale vita umana, nella quale non bisognerebbe mai inserirsi così prepotentemente come stiamo per fare. Ma questo è il Sabbat.
Mario, ancora in versione nonno, mi tiene la manina. Io, bambina piccola la stringo a mia volta a Saigon, chiamandolo papà.
Entriamo nel locale, facendo finta di nulla, la gente non ha il minimo sentore di quello che siamo e di quello che stiamo per combinare.
Una volta la bancone comincio a fare i capricci.
«Paparinoooooo! Me lo compri un chupa chupaaaaa??? Daiiiiii!!»
Saigon si ferma e mi guarda storto.
«No, la mamma ha detto che non puoi mangiare le caramelle che ti fa male ai canini, lo sai che sono ancora in fase di sviluppo!»
Io misuro la distanza tra me e il primo chupa chupa disponibile, una cinquantina di centimetri, perfetto.
«Ma io lo voglioooo!!» La mia lingua scivola rapida ad afferrare il dolcetto, sotto lo sguardo attonito del barista. Rapido Saigon prende la caramella, porgendola al ragazzo.
«La scusi, ma non riesce proprio a resistere ai dolci… A proposito, dove si prendono le scarpe per giocare a bowling?» il ragazzo sempre più esterrefatto ci indica un bancone di lato, ma io mi attacco al braccio di Mario, frignando, quasi mi darei un pugno da sola.
«Nonnoooooo!! M’insegni a giocare a biliardo?? Quel secchione di papà vuole giocare a bowling!! Bleah…»
Mario annuisce ridacchiando e si avvicina ad un tavolo, dove dei ragazzi stanno giocando. Con la sua solita velocità impressionante fa sparire il loro triangolo con le loro palline, posandole con calma, poi sul tavolo vicino.
«Ma certo tesorino, vieni qui, prendi una stecca che t’insegno!»
Nel mentre l’attenzione di Saigon è attirata da una persona che entra, nella sua solita tuta da motociclista e assesta subito un bel cazzotto in faccia ad un ragazzetto che la stava fissando, senza nemmeno guardarlo. Il ragazzo sbatte violentemente contro il muro, forse solo privo di sensi, forse andato al Creatore. Selene avanza come se nulla fosse accaduto, mentre gli sguardi della gente le scivolano addosso, lei sorride a Saigon che le si avvicina allargando le braccia.
«Mammina, vieni qui che ti abbraccio.»
Lei non capisce a cosa si stia riferendo, lo osserva aggrottando le sopracciglia, quindi pone una mano su un fianco sollevando il pugno dell’altra davanti al viso di Saigon.
«Tesoruccio, prova ad abbracciarmi e ti riempio di cazzotti fino a quando la tua faccia diventa irriconoscibile.» il tono falsamente dolce, gli sorride, amabile ed affascinante come solito, ma con la femminilità di una scaricatrice di porto. Dovrei insegnarle un po’ di buone maniere prima o poi.
Saigon ride divertito, quindi le indica il tavolo da biliardo dove, nel mentre, Mario ha cominciato ad impartirmi lezioni. Il problema però è che alcune delle sue palline sono schizzate via dal tavolo, colpendo alla testa un paio di persone, alle quali non invidio il trauma cranico che hanno riportato.
Chiaramente gli amici delle suddette persone sono alquanto alterate e si avvicinano a noi minacciose, in fondo siamo solo una bambina e il suo nonnetto…
Subito Saigon e Selene ci raggiungono, io mi abbraccio a Selene piagnucolando. E’ ora di muover le mani. La rissa comincia.
Mentre Selene mi guarda stranita e a voce bassa mi chiede conferma della mia identità, Mario colpisce un ragazzo nelle parti basse, e mentre questo si accartoccia dolorante su se stesso, un suo amico è già pronto a balzargli addosso, ma non sa che non ha speranza di colpire Mario, per quanto giovane e veloce possa credere di essere.
Mi metto in disparte, sedendomi sul tavolo da biliardo, ma purtroppo non faccio in tempo a godermi molto dello spettacolo, perché il mio cellulare comincia a suonare. Schivando la gente che si pesta e che vola in giro, scendo e sguscio verso il bagno, dove spero di trovare un po’ di silenzio. Al di là mi parla Del Duca, a sorpresa.
«Buona sera Del Duca, in cosa posso esserle d’aiuto?»
«Signorina Amuhi, avremmo un’emergenza, potrebbe raggiungerci con la sua collega? Abbiamo bisogno di un parere di… esperte.»
Sono sorpresa, nonostante abbia colto una lieve sfumatura di ironia nella sua voce, apprezzo che la nostra esperienza in un branco sabbatico possa venir utile, di tanto in tanto.
Mi faccio dare l’indirizzo, quindi gli assicuro che in poco tempo saremo da quelle parti. Rimango per un attimo, appoggiata al lavandino, quindi con una salvietta di carta mi pulisco una macchia sospetta di sangue sulla guancia. Controllo che tutto il resto sia a posto, quindi esco dal bagno. Recuperare Selene non è semplice. E’, ovviamente, nel bel mezzo della rissa, insieme a Saigon e Mario, e sembra che si stia divertendo parecchio.
Mi sbraccio un po’ e quando finalmente riesco ad attirare la sua attenzione le accenno con il capo all’uscita. Lei assesta una testata ad un tizio, sfondandogli il cranio e lasciandolo cadere al suolo, esanime, quindi mi segue.
«Che succede?»
Io mi guardo attorno, la via è deserta, strano che i Carabinieri non siano ancora arrivati… e si che da li alla Caserma non ci sono più di una decina di minuti di macchina. Torno a prestare attenzione alla Brujah.
«Del Duca mi ha chiamata. Ha un’emergenza da queste parti. Temo che ci sia di mezzo Ian, si è involato prima e non è ancora tornato. Comunque hanno chiesto un nostro parere. Dai, andiamo, in qualche minuto ci sbrigheremo, poi potrai tornare a divertirti.» una smorfia e il mio tono non troppo convinto le fanno capire che non sono propriamente a mio agio in quella serata, ma lei continua a sorridere, del tutto indifferente. Estrae le chiavi della moto di tasca e mi indica il parcheggio, dove la sua moto, “il suo amore” la chiama lei, se ne stà in attesa.
Saliamo e ci avviamo, senza casco, ho abbastanza fretta, non ho voglia di mettermi a cercare qualcuno con un casco, stordirlo e fregarglielo. Così in una ventina di minuti ci troviamo sul “luogo del delitto” se così si può dire.
Uomini armati e vestiti di nero ispezionano la zona, mentre Del Duca li osserva, immobile, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni, l’aria un po’ perplessa. Della polvere al suolo indica la presenza di quello che fu un vampiro. Scendiamo dalla moto e ci avviciniamo, senza curarci di arrivargli alle spalle di soppiatto, non mi sembra dell’umore giusto per uno scherzo.
«La Prima Rosa.» Le parole di Del Duca ci accolgono, mentre lui se ne stà là, dandoci le spalle, non si volta neppure, ma continua risoluto il suo discorso.
«Non più di un paio di ore fa. Là…» indica un guardrail ed un cartello crivellati di colpi «… ci sono dei proiettili esplosi, date un’occhiata e ditemi che ne pensate.»
lascio fare a Selene, è lei che se ne intende di armi. Difatti si avvicina, esamina i fori lasciati dai proiettili, scorrendovi sopra con i polpastrelli, come se il cartello le stesse raccontando una storia. Poi uno dei sottoposti le porta una busta contenente alcuni proiettili esplosi. Una sola, rapida, occhiata al reperto, prima di volgersi verso di noi.
«M61. Probabilmente la sua Prima Rosa ha pestato i piedi a qualcuno di un po’ troppo… grosso.»
Del Duca non può capire quell’allusione, ma io si. Una conferma che si tratta di Ian.
Il vampiro inclina appena il capo di lato, accigliandosi.
«Guarda guarda… un M61… come quello che ho dato a te Selene. Tu avevi un motivo per sparare alla Prima Rosa?»
Lei incrocia le braccia e lo guarda scocciata.
«Ehi, non sono lesbica se è quello che vuole sapere. E non so nemmeno chi fosse la sua Prima Rosa, di sicuro una senza p***e.» un ghigno beffardo sul suo bel volto, ma so perfettamente che è sincera.
Del Duca annuisce, quindi torna a guardarsi intorno. Solleva incurante le spalle.
«Va bene, potete andare ragazze. Se avrò bisogno di qualcos’altro vi contatterò. In bocca al lupo per la vostra partenza di domani.»
Annuiamo e ci avviamo verso la moto, sentiamo lo sguardo del vampiro ancora su di noi ed infatti le sue parole confermano la nostra sensazione.
«Mi raccomando… rispettate le Tradizioni.»
Selene solleva una mano, il tono ironico.
«Certo, santificheremo il Natale e la Pasqua.»
Scommetto che questa battuta ha suscitato un sorrisetto anche a quel pezzo di legno. Ovviamente le Tradizioni a cui lui si riferiva erano quelle della Masquerade, quelle tradizioni che stavamo ampiamente trasgredendo fino a mezz’ora prima.
Ma ora non è il momento di perdersi in queste disquisizioni. C’è del lavoro da fare, e parecchio per giunta e la notte è quasi giunta al termine.
Quando torniamo al bowling la vetrata d’ingresso è crepata, e all’interno si vede un vero e proprio macello.
Gente stramazzata ovunque, tavoli, sedie, macchinette a pezzi, eppure non c’è ombra di Carabinieri.
Ian ci raggiunge all’esterno, le ali ben ripiegate sulla schiena, l’aria soddisfatta.
Ci raduniamo tutti all’esterno del locale, osservando la luce all’interno che lampeggia ad intermittenza per qualche istante prima di morire e lasciare tutto al buio.
Bene, è ora di tornare a casa, il rito è concluso.

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Pubblicato da Shekinah

Sono la burattinaia, sono il filo che da oggi reggerà il tuo burattino Sono colei che muoverà le dita ad indicare la tua sorte. Obbligherò le tue membra ad alzarsi contro il volere della Natura stessa, senza che tu possa fermarmi. Eseguirai la mia danza. E ti piacerà.

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